Capitolo XXXIII
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
"Tutt'a un tratto, sente uno squillo lontano, ma che gli par che venga dalle stanze, non dalla strada. Sta attento; lo sente più forte, più ripetuto, e insieme uno stropiccìo di piedi: un orrendo sospetto gli passa per la mente. Si rizza a sedere, e si mette ancor più attento; sente un rumor cupo nella stanza vicina, come d'un peso che venga messo giù con riguardo; butta le gambe fuor del letto, come per alzarsi, guarda all'uscio, lo vede aprirsi, vede presentarsi e venire avanti due logori e sudici vestiti rossi, due facce scomunicate, due monatti, in una parola; vede mezza la faccia del Griso che, nascosto dietro un battente socchiuso, riman lì a spiare..."
CHI?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È il cugino di Renzo che vive e lavora in un paese vicino a Bergamo (nel territorio che all'epoca faceva parte della Repubblica di Venezia) e che offre rifugio e lavoro al protagonista dopo la sua fuga da Milano in seguito al tumulto di S. Martino, quando è braccato dalla giustizia: è nominato per la prima volta nel cap. VI, quando Agnese propone lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa" e Renzo progetta a sua volta di trasferirsi con Lucia e la madre nel Bergamasco, dove appunto suo cugino Bortolo è impiegato in un filatoio di seta e dove ha spesso invitato il protagonista a raggiungerlo, poiché in quel territorio gli operai della seta sono molto richiesti. In seguito Renzo sarà costretto a rifugiarsi nel Bergamasco come fuggitivo e qui raggiungerà il cugino nel paese in cui vive (XVII), ricevendo una calorosa accoglienza nel filatoio in cui lavora e di cui l'uomo è diventato il factotum, essendo tra l'altro il braccio destro del proprietario (viene lasciato intendere che l'uomo è nato nello stesso paese del protagonista e che conosce bene Lucia e Agnese, dunque si è trasferito tempo prima nel Bergamasco senza tuttavia che sia precisato quando ciò è avvenuto). Bortolo spiega a Renzo che in questo momento non c'è richiesta di operai a causa della crisi, ma aiuterà comunque il cugino in quanto gode del favore del padrone e ha messo da parte discreti guadagni, perciò sarà lieto di condividere questo benessere con un membro della famiglia. Informa Renzo del fatto che la carestia è presente anche in quel territorio, tuttavia la politica dello Stato veneto è più oculata di quella di Milano e questo permette di alleviare le sofferenze della popolazione, sia con l'acquisto di grano a buon mercato proveniente dalla Turchia, sia con l'importazione di miglio per produrre del pane a minor prezzo. Bortolo spiega infine al cugino che i Milanesi vengono definiti dai Bergamaschi "baggiani" (sciocchi), cosa che irrita Renzo ma alla quale dovrà rassegnarsi poiché si tratta di un'usanza inveterata, cui è necessario abituarsi se si vuol vivere in quel territorio; presenta poi Renzo al suo padrone e gli procura un impiego al filatoio e un ricovero, sistemandolo alla meglio durante il primo periodo della sua "latitanza".
Tempo dopo l'uomo è informato del fatto che la giustizia della Repubblica sta facendo indagini su Renzo (XXVI), in seguito alle proteste che il governatore don Gonzalo ha rivolto al residente di Venezia a Milano, quindi si affretta a consigliargli di cambiare paese e trovare lavoro in un altro filatoio, cambiando anche nome per prudenza: lo presenta come Antonio Rivolta al padrone di un altro stabilimento a circa quindici miglia dal suo paese, raccomandando il cugino come ottimo lavoratore della seta e riuscendo a sistemarlo lì (il proprietario è suo amico e originario lui pure del Milanese). In seguito risponde alle molte domande sulla scomparsa di Renzo in modo evasivo, diffondendo voci contraddittorie sulla sua sorte che arrivano all'orecchio di Agnese e non consentono neppure al cardinal Borromeo di prendere informazioni sul giovane fuggiasco, come aveva promesso alla donna e a Lucia.
Renzo resta nel suo nuovo nascondiglio per cinque o sei mesi, al termine dei quali Bortolo si affretta a richiamarlo al suo paese in quanto Venezia e la Spagna sono ora nemiche nella guerra di Mantova e non c'è più pericolo (XXXIII): l'autore spiega la sollecitudine di Bortolo perché questi è sinceramente affezionato al cugino, ma soprattutto perché al filatoio Renzo era di grande aiuto al factotum senza potere aspirare a occupare quella funzione in quanto semi-analfabeta (apprendiamo che l'aiuto offerto a Renzo non è del tutto disinteressato e l'autore osserva con ironia che forse i lettori vorrebbero "un Bortolo più ideale", ma quello "era così"). Dopo aver appreso per lettera del voto di Lucia, Renzo coltiva più volte il proposito di arruolarsi e partecipare alla guerra contro il Ducato di Milano, specie nell'eventualità che sembra imminente di un'invasione di questo da parte di Venezia, ma Bortolo riesce a dissuaderlo illustrandogli i pericoli dell'impresa e mostrandosi scettico sulla sua riuscita (si intuisce che, anche in questo caso, i consigli dell'uomo non sono del tutto spassionati). Per gli stessi motivi dissuade Renzo dal proposito di tornare al suo paese sotto mentite spoglie, finché scoppia l'epidemia di peste del 1630 e il giovane si ammala, riuscendo però a guarire e decidendo di approfittare del flagello per tornare nel Milanese: informa della sua risoluzione Bortolo, che è ancora sano e perciò gli parla da una finestra, augurandogli buon viaggio ed esortandolo a tornare da lui alla fine della pestilenza (Renzo promette di farlo e spera di non tornare da solo).
Alla fine delle vicende del romanzo Renzo va a stabilirsi con le due donne nel paese di Bortolo (XXXVIII) e questi, venuto a sapere che il padrone di un filatoio alle porte di Bergamo è morto di peste e il figlio intende vendere la fabbrica, propone al cugino di entrare in società per rilevarlo: Renzo accetta e così i due acquistano lo stabilimento, iniziando una lucrosa attività che, dopo gli stentati inizi, diventa quanto mai florida.
DOVE?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
Città della Lombardia e attuale capoluogo di provincia, all'epoca del romanzo Bergamo si trovava nel territorio della Repubblica di Venezia (cui apparteneva sin dal 1428, in seguito alla vittoriosa battaglia di Maclodio ad opera del Conte di Carmagnola) ed è situata non lontano dal corso dell'Adda, che allora per un tratto faceva da confine naturale con il Ducato di Milano; intensi erano gli scambi commerciali fra i due territori, dal momento che fin dal cap. II ci viene detto che molti filatori di seta emigravano nel Bergamasco attratti dalle migliori condizioni di lavoro, il che spiega come mai Renzo, operaio assai abile in questo settore, riesca a trovare lavoro in patria nonostante l'annata scarsa. In un paese di quella regione vive anche Bortolo, il cugino di Renzo che lavora a sua volta in un filatoio di cui è il factotum e dove ha più volte invitato il protagonista a trasferirsi, anche se il giovane filatore non ha mai accettato per il suo legame con Lucia. Il Bergamasco diventa ambientazione diretta del romanzo a partire dal cap. XVII, quando Renzo (in fuga da Milano dopo il tumulto di S. Martino e ricercato dalla legge) supera l'Adda per rifugiarsi nello stato veneto e verrà accolto da Bortolo che gli troverà un ricovero e un lavoro al suo filatoio; mentre si avvicina al paese del cugino, Renzo non tarda a rendersi conto che la carestia si sta facendo sentire anche in quelle terre, come dimostra la presenza di numerosi accattoni e contadini che chiedono l'elemosina, e come gli conferma lo stesso Bortolo col dirgli che, a causa della scarsezza dell'annata, non c'è grande richiesta di operai. Renzo riuscirà comunque a guadagnarsi da vivere grazie alla sua abilità di filatore e Bortolo gli spiegherà che la politica economica della città di Bergamo e della Repubblica di Venezia è più oculata rispetto a quella di Milano, poiché viene acquistato del grano a basso prezzo che viene fatto circolare liberamente fra le città e il senato veneziano assicura il rifornimento di miglio che, in tempi di carestia, serve a produrre il pane (è questo il modello socio-economico che Manzoni predilige, cosa che emerge soprattutto nel confronto con il governo milanese dell'epoca). Quanto alla manifattura della seta, viene detto chiaramente che essa è stata portata nel Bergamasco dagli operai milanesi emigrati laggiù e in seguito l'autore precisa che il governo veneziano assecondava in ogni modo questo flusso di lavoratori, soprattutto perché i rapporti politici col vicino Ducato erano assai tesi. La stessa vicenda di Renzo lo dimostra, poiché il governo di Venezia finge di compiere superficiali ricerche del fuggiasco su pressioni del governatore di Milano don Gonzalo, mentre risulta chiaro che non c'è alcun intento di trovarlo né tantomeno di consegnarlo alle autorità milanesi (XXVI); Renzo sarà comunque costretto a trasferirsi per qualche mese in un villaggio poco lontano, dove assume il falso nome di Antonio Rivolta e trova lavoro nel filatoio di un conoscente di Bortolo, originario anche lui del Milanese.
Renzo soggiorna nel Bergamasco dal novembre 1628 sino all'estate 1630, quando l'epidemia di peste scoppiata nel Milanese si propaga anche al territorio vicino e lo stesso protagonista finisce per ammalarsi (XXXIII): una volta guarito, decide di approfittare della situazione drammatica per tornare al suo paese e cercare Lucia, del cui voto è stato intanto informato per lettera da Agnese. Alla fine delle vicende del romanzo, dopo che Renzo e Lucia si sono finalmente sposati, i due decidono di trasferirsi insieme ad Agnese nel paese di Bortolo (XXXVIII), ma qui si trattengono poco in quanto gli abitanti accolgono la giovane con commenti poco lusinghieri sul suo aspetto fisico, dal momento che si era fatto un gran parlare di lei (la cosa irrita non poco Renzo e inasprisce i suoi rapporti con i nuovi compaesani). Più tardi Bortolo propone a Renzo di acquistare in società un filatoio alle porte di Bergamo, il cui padrone è morto di peste mentre il figlio intende disfarsene, e la conclusione dell'affare permette ai due sposi di trasferirsi definitivamente in quel paese dove poi trascorrono la loro vita assieme.
La città di Bergamo è spesso citata come il centro principale di quella regione, anche se non è l'ambientazione diretta di nessun episodio del romanzo: essa è mostrata solo nel cap. XVII, come una "gran macchia biancastra" sui colli che Renzo vede al di là dell'Adda, per cui il giovane intuisce che deve trattarsi di quella città e la cosa gli viene poi confermata dal pescatore che lo traghetta sull'altra sponda del fiume.
QUANDO?
RIASSUNTO
TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO
Il capitolo riprende la narrazione della vicenda romanzesca dopo la digressione storica sulla peste dei capp. XXXI-XXXII ed è diviso in due parti: la prima, più breve, è dedicata a don Rodrigo che scopre di aver contratto la malattia, la seconda spiega con un flashback le traversie di Renzo nel Bergamasco dopo i fatti narrati nel cap. XXVII (le ricerche delle autorità venete che lo avevano costretto a cambiare nome e a spostarsi), quindi la sua guarigione dalla peste e la decisione di tornare nel Milanese. Renzo sarà in effetti il protagonista dei capitoli successivi e la sua vicenda sarà curiosamente intrecciata a quella del "rivale" don Rodrigo, mostrato all'inizio di questo episodio.
Don Rodrigo rientra in scena dopo che nel cap. XXV aveva lasciato il paese ("con la coda tra le gambe", secondo il racconto dell'amico di Renzo), in seguito alla liberazione di Lucia e per non dover incontrare il cardinal Borromeo. Il signorotto mostra inizialmente una certa noncuranza del rischio della peste, manifestata attraverso la volontà di darsi allo "stravizio" e alle serate allegre con gli amici, poi quando si scopre ammalato è colto dal terrore della morte e teme di essere portato al lazzaretto, cosa che non potrà evitare nonostante il tentativo di rivolgersi a un medico compiacente (lo ritroveremo morente in quel luogo nel cap. XXV). Il signorotto conferma di temere la morte e, soprattutto, il giudizio divino nell'altra vita, come si evince dal sogno in cui compare padre Cristoforo sul pulpito di una chiesa, nello stesso atteggiamento accusatorio già visto nel cap. VI quando, nel suo tempestoso colloquio col nobile, gli aveva detto "Verrà un giorno" (sul punto si veda oltre). Il sogno era descritto anche nel Fermo e Lucia (IV, 5) con poche varianti rispetto alla redazione finale, se si eccettua un discorso accusatorio e molto retorico attribuito al frate che nella versione finale scompare (cfr. il brano Il sogno di don Rodrigo).
All'inizio del capitolo veniamo informati della morte del conte Attilio a causa della peste, col dire che don Rodrigo durante la serata con gli amici ne ha pronunciato un bizzarro "elogio funebre" con cui ha divertito la compagnia. L'uscita di scena del personaggio avviene nel segno di una beffa di cui stavolta è il bersaglio, mentre in vita Attilio ha sempre manifestato un certo gusto per lo scherzo e la celia, a cominciare dalla famosa scommessa con Rodrigo avente per oggetto Lucia (cfr. anche l'approfondimento del cap. XVIII)
Il Griso si conferma come la figura forse più odiosa del romanzo, poiché non esita a tradire il padrone (cui doveva la vita, dal momento don Rodrigo lo aveva salvato dalla giustizia: cfr. cap. VII) e a consegnarlo ai monatti per spartire con loro il denaro rubato al nobile, avendo anche l'accortezza di allontanare gli altri bravi con falsi ordini. L'uomo è però tradito dalla sua stessa avidità e scuote gli abiti di Rodrigo per cercare altro denaro, contraendo così la peste: la sua morte il giorno dopo è descritta dall'autore in modo sbrigativo e in poche righe, fatto che tutti i commentatori attribuiscono al disprezzo che il romanziere vuole esprimere per il personaggio.
Il "Chiodo chirurgo" è un personaggio realmente esistito ed era un medico piuttosto noto nella Milano del tempo della peste, di cui parla anche Cesare Cantù accostandolo a Tadino e Settala (La Lombardia nel secolo XVII, Milano 1854).
Il ritorno sulla scena di Renzo avviene dopo che, nel cap. XXVII, era stato costretto a cambiare rifugio nel Bergamasco e ad assumere il nome di Antonio Rivolta in seguito alle ricerche fatte dalla giustizia veneta: aveva in seguito appreso del voto di Lucia confusamente per lettera e ora, con un rapido flashback, ci viene detto dei suoi propositi di "finirla" e di arruolarsi come soldato, sempre dissuaso dal cugino Bortolo (il personaggio è alquanto interessato a trattenere Renzo per convenienza personale, cosa che ironicamente Manzoni sottolinea col dire che i lettori vorrebbero forse un Bortolo "più ideale"). Il giovane decide di tornare nel Milanese dopo essere guarito dalla peste e di cercare Lucia, che troverà nel lazzaretto anche lei guarita dal morbo.
Guarire dalla peste era cosa rara ma non insolita durante le epidemie e i guariti erano sostanzialmente immuni al contagio, poiché contrarre il morbo due volte era in effetti molto improbabile. Renzo si trova appunto in questa condizione e l'autore lo paragona non senza ironia ai "cavalieri erranti" del Medioevo, che andavano in giro armati fino ai denti e approfittavano della loro superiorità sulla "povera marmaglia pedestre", i contadini indifesi nei loro confronti. È una sottile critica ai poemi cavallereschi ancora diffusi nella letteratura italiana di inizio XIX sec., nonché al modello di società feudale e piena di ingiustizie che quelle opere ingenuamente celebravano.
Renzo ritorna al paese per la prima volta dopo la "notte degli imbrogli" (cap. VIII), in cui dopo il fallito tentativo di "matrimonio a sorpresa" e il mancato rapimento di Lucia ad opera di don Rodrigo era stato costretto ad andarsene insieme a Lucia e Agnese (il giovane sente ancora dentro di sé il lugubre suono delle campane a martello, suonate dal sagrestano Ambrogio messo in allarme dal curato). I fatti di quella notte sono rievocati indirettamente anche nell'incontro con Tonio, l'amico di Renzo che aveva fatto da testimone insieme al fratello Gervaso nella sfortunata spedizione in casa del curato. L'uomo, la cui mente è sconvolta dalla peste, sembra tanto simile al fratello che Renzo inizialmente lo scambia per lui.
Don Abbondio ricompare nel romanzo dopo che si era rifugiato con Agnese e Perpetua nel castello dell'innominato, per sfuggire ai lanzichenecchi (XXXIX-XXX): il curato è da poco guarito dalla peste e ne porta ancora i segni addosso, dal momento che appare molto smagrito e inizialmente Renzo stenta a riconoscerlo. È lui a informare Renzo di quanto accaduto al paese in sua assenza, incluso il fatto che Agnese è a Pasturo e che Lucia è sempre a Milano da don Ferrante. Il curato, che si mostra timoroso per la presenza di Renzo in quanto ricercato dalla legge, cerca inutilmente di convincerlo ad andarsene, quindi lo informa di tutti quelli che sono morti in paese, a cominciare da Perpetua (che avevamo visto l'ultima volta alla fine del cap. XXX).
La descrizione della vigna di Renzo in stato di abbandono e invasa da ogni sorta di erbacce è una pagina famosa del romanzo, benché alcuni commentatori l'abbiano criticata per un eccesso di tecnicismi nel minuto elenco di piante selvatiche e particolari "agricoli" di cui c'è grande abbondanza. L'episodio ha comunque una sua precisa funzione, in quanto la vigna abbandonata diventa metafora del disordine sociale e civile causato dello sconvolgimento della peste e indica forse che l'atteggiamento dello scrittore verso la calamità non è del tutto risolto, conservando una visione problematica e aperta (cfr. l'approfondimento del cap. XXXVII).
L'amico senza nome che ospita Renzo per la notte ha l'importante funzione di informarlo precisamente sul casato di don Ferrante, indicazione preziosa per il giovane in quanto, in caso contrario, non potrebbe trovare la sua casa a Milano (Agnese glielo aveva scritto per lettera tramite il suo interprete e Renzo non era stato in grado di comprenderlo bene).
TRAMA
GLOSSARIO
Abbacinati: accecati
Bettola: osteria, taverna
Bisbetici: strani
Capolini: infiorescenze
Classe: classificazione
Famiglia: servitù
Getti: nuovi germogli
Mascalzone: ignorante
Palco: soffitto
Per avventura: forse
Ridotto: festa
Rifinito: sfinito
Rimessiticci: rami nati su vecchi tronchi
Romito: eremita
Rotti: strappi, buchi
Salvo il vero: più o meno
Stupido: intontito
Tasso barbasso: verbasco
Trafitta: forte dolore come un colpo di spada
Vetticciola: piccola cima dell'albero
DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:
1) Leggi e commenta l’episodio di don Rodrigo colpito dalla peste, analizzando anche il comportamento dell’«abbominevole Griso», che spirerà «prima di arrivare al lazzeretto, dov’era stato portato il suo padrone».
2) Cosa pensi del comportamento e delle parole di don Abbondio durante il suo incontro con Renzo? Quali sono le frasi che meglio si adattano - e più riscontrano - il suo carattere?
3) Renzo ha già incontrato Tonio, colpito e segnato per sempre dalla peste, e ora incontra un amico «rimasto solo... come un romìto»: leggi il passo riguardante il suo comportamento e confrontalo con quello di don Abbondio.