Capitolo XXVII
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
"Uomo di studio, non gli piaceva né di comandare né d'ubbidire. Che, in tutte le cose di casa, la signora moglie fosse la padrona, alla buon'ora; ma lui servo, no. E se, pregato, le prestava a un'occorrenza l'ufizio della penna, era perché ci aveva il suo genio; del rimanente, anche in questo sapeva dir di no, quando non fosse persuaso di ciò che lei voleva fargli scrivere. Donna Prassede, dopo aver tentato per qualche tempo di tirarlo dal lasciar fare al fare, s'era ristretta a nominarlo uno schivafatiche, un uomo fisso nelle sue idee, un letterato; titolo nel quale, insieme con la stizza, c'entrava anche un po' di compiacenza..."
CHI?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È la madre di Lucia, un'anziana vedova che vive con l'unica figlia in una casa posta in fondo al paese: di lei non c'è una descrizione fisica, ma è presentata come una donna avanti negli anni, molto attaccata a Lucia per quale "si sarebbe... buttata nel fuoco", così come è sinceramente affezionata a Renzo che considera quasi come un secondo figlio. Viene introdotta alla fine del cap. II, quando Renzo informa Lucia del fatto che le nozze sono andate a monte, e in seguito viene descritta come una donna alquanto energica, dalla pronta risposta salace e alquanto incline al pettegolezzo (in questo non molto diversa da Perpetua). Rispetto a Lucia dimostra più spirito d'iniziativa, poiché è lei a consigliare a Renzo di rivolgersi all'Azzecca-garbugli (III), poi propone lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa" (VI) e in seguito invita don Abbondio e Perpetua a rifugiarsi nel castello dell'innominato per sfuggire ai lanzichenecchi (XXIX). È piuttosto economa e alquanto attaccata al denaro, se non proprio avara, come si vede quando rimprovera Lucia di aver dato troppe noci a fra Galdino (III) e nella cura che dimostra nel custodire il denaro avuto in dono dall'innominato. A differenza dei due promessi sposi non si ammala di peste (ci viene detto nel cap. XXXVII) e, dopo il matrimonio, si trasferisce con Renzo e Lucia nel Bergamasco, dove vive con loro ancora vari anni. Del defunto marito e padre di Lucia non viene mai fatta parola e, curiosamente, il fatto che Agnese sia vedova viene menzionato solo nel cap. XXXVII, quando la donna torna al paese e trova la casa quasi intatta dopo il periodo della peste (il narratore osserva che "questa volta, trattandosi d’una povera vedova e d’una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli").
DOVE?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
Città della Lombardia e attuale capoluogo di provincia, all'epoca del romanzo Bergamo si trovava nel territorio della Repubblica di Venezia (cui apparteneva sin dal 1428, in seguito alla vittoriosa battaglia di Maclodio ad opera del Conte di Carmagnola) ed è situata non lontano dal corso dell'Adda, che allora per un tratto faceva da confine naturale con il Ducato di Milano; intensi erano gli scambi commerciali fra i due territori, dal momento che fin dal cap. II ci viene detto che molti filatori di seta emigravano nel Bergamasco attratti dalle migliori condizioni di lavoro, il che spiega come mai Renzo, operaio assai abile in questo settore, riesca a trovare lavoro in patria nonostante l'annata scarsa. In un paese di quella regione vive anche Bortolo, il cugino di Renzo che lavora a sua volta in un filatoio di cui è il factotum e dove ha più volte invitato il protagonista a trasferirsi, anche se il giovane filatore non ha mai accettato per il suo legame con Lucia. Il Bergamasco diventa ambientazione diretta del romanzo a partire dal cap. XVII, quando Renzo (in fuga da Milano dopo il tumulto di S. Martino e ricercato dalla legge) supera l'Adda per rifugiarsi nello stato veneto e verrà accolto da Bortolo che gli troverà un ricovero e un lavoro al suo filatoio; mentre si avvicina al paese del cugino, Renzo non tarda a rendersi conto che la carestia si sta facendo sentire anche in quelle terre, come dimostra la presenza di numerosi accattoni e contadini che chiedono l'elemosina, e come gli conferma lo stesso Bortolo col dirgli che, a causa della scarsezza dell'annata, non c'è grande richiesta di operai. Renzo riuscirà comunque a guadagnarsi da vivere grazie alla sua abilità di filatore e Bortolo gli spiegherà che la politica economica della città di Bergamo e della Repubblica di Venezia è più oculata rispetto a quella di Milano, poiché viene acquistato del grano a basso prezzo che viene fatto circolare liberamente fra le città e il senato veneziano assicura il rifornimento di miglio che, in tempi di carestia, serve a produrre il pane (è questo il modello socio-economico che Manzoni predilige, cosa che emerge soprattutto nel confronto con il governo milanese dell'epoca). Quanto alla manifattura della seta, viene detto chiaramente che essa è stata portata nel Bergamasco dagli operai milanesi emigrati laggiù e in seguito l'autore precisa che il governo veneziano assecondava in ogni modo questo flusso di lavoratori, soprattutto perché i rapporti politici col vicino Ducato erano assai tesi. La stessa vicenda di Renzo lo dimostra, poiché il governo di Venezia finge di compiere superficiali ricerche del fuggiasco su pressioni del governatore di Milano don Gonzalo, mentre risulta chiaro che non c'è alcun intento di trovarlo né tantomeno di consegnarlo alle autorità milanesi (XXVI); Renzo sarà comunque costretto a trasferirsi per qualche mese in un villaggio poco lontano, dove assume il falso nome di Antonio Rivolta e trova lavoro nel filatoio di un conoscente di Bortolo, originario anche lui del Milanese.
Renzo soggiorna nel Bergamasco dal novembre 1628 sino all'estate 1630, quando l'epidemia di peste scoppiata nel Milanese si propaga anche al territorio vicino e lo stesso protagonista finisce per ammalarsi (XXXIII): una volta guarito, decide di approfittare della situazione drammatica per tornare al suo paese e cercare Lucia, del cui voto è stato intanto informato per lettera da Agnese. Alla fine delle vicende del romanzo, dopo che Renzo e Lucia si sono finalmente sposati, i due decidono di trasferirsi insieme ad Agnese nel paese di Bortolo (XXXVIII), ma qui si trattengono poco in quanto gli abitanti accolgono la giovane con commenti poco lusinghieri sul suo aspetto fisico, dal momento che si era fatto un gran parlare di lei (la cosa irrita non poco Renzo e inasprisce i suoi rapporti con i nuovi compaesani). Più tardi Bortolo propone a Renzo di acquistare in società un filatoio alle porte di Bergamo, il cui padrone è morto di peste mentre il figlio intende disfarsene, e la conclusione dell'affare permette ai due sposi di trasferirsi definitivamente in quel paese dove poi trascorrono la loro vita assieme.
La città di Bergamo è spesso citata come il centro principale di quella regione, anche se non è l'ambientazione diretta di nessun episodio del romanzo: essa è mostrata solo nel cap. XVII, come una "gran macchia biancastra" sui colli che Renzo vede al di là dell'Adda, per cui il giovane intuisce che deve trattarsi di quella città e la cosa gli viene poi confermata dal pescatore che lo traghetta sull'altra sponda del fiume.
QUANDO?
RIASSUNTO
TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO
L'inizio del capitolo si ricollega alla fine del XXVI, spiegando le circostanze della guerra per la successione di Mantova e l'assedio di Casale del Monferrato in cui è impegnato don Gonzalo: l'autore condanna questo assurdo conflitto nato da futili questioni dinastiche e portatore di tante sofferenze per la popolazione umile, di cui la carestia e la peste sono conseguenze indirette. Il governatore di Milano agisce dunque per ragioni di calcolo politico e non è certo interessato alla sorte di Renzo, benché il giovane fuggitivo non possa immaginarlo e sia perciò indotto a restare nascosto (su questo si veda l'approfondimento del cap. precedente).
Tanto Renzo quanto Agnese sono analfabeti e necessitano dunque di "interpreti" per scriversi delle lettere, il che spiega il carattere farraginoso e non sempre chiaro della loro corrispondenza (l'autore pensa che l'ignoranza degli umili sia una piaga da combattere con l'istruzione, per cui si veda oltre). Nel cap. III Renzo aveva detto all'Azzecca-garbugli di sapere leggere "un pochino", il che vale per i caratteri a stampa e non per i testi scritti a mano, che nel Seicento (e nell'Ottocento) erano prodotti in una grafia talmente elaborata e complessa che richiedevano, per essere decifrati, un ottimo grado di istruzione.
Agnese manda a Renzo i cinquanta scudi d'oro che costituiscono la metà della somma ricevuta dall'innominato per il tramite del cardinal Borromeo (XXVI), informandolo per lettera del voto pronunciato da Lucia: la reazione del giovane è ovviamente di sdegno e incredulità, per cui risponde che non intende rassegnarsi a perdere la sua promessa sposa e che non toccherà il denaro, serbandolo come dote per il matrimonio. Renzo intuisce, per essendo un povero contadino, che il voto è nullo in quanto Lucia non poteva sacrificare anche la sua volontà, come padre Cristoforo spiegherà nel cap. XXXVI.
Lucia è alle prese con lo zelo "puritano" di donna Prassede, la quale si impegna con ogni sua energia a far dimenticare a Lucia il suo promesso sposo col risultato di ricordarglielo di continuo (l'autore osserva con ironia che la ragazza, forse inconsapevolmente, è ancora legata al suo innamorato). La nobildonna dimostra nei fatti quanto era stato detto su di lei nel cap. XXV, ovvero che è una bigotta col vezzo di far "del bene" anche a chi farebbe volentieri a meno delle sue attenzioni e che, tra l'altro, giudica Renzo in modo pregiudizievole come un "rompicollo", senza neppure conoscerlo. È questa l'ultima apparizione nel romanzo di Lucia, prima di ritrovarla convalescente al lazzaretto di Milano durante la peste, nel cap. XXXVI.
L'ultima parte del capitolo è dedicata a don Ferrante, il marito di donna Prassede con la quale ha un rapporto di relativa indipendenza (il nobile non vuole essere "servo" in casa propria) e che viene descritto come il tipico "dotto" e intellettuale del Seicento, secolo dalla cultura vuota e frivola contro la quale Manzoni polemizza spesso nel romanzo. Interessante e giustamente famosa è la descrizione della biblioteca dell'aristocratico, che ospita circa 300 libri (una quantità più che rispettabile per una raccolta privata di quel tempo) e le cui "sezioni" sono un campionario delle opere più in voga nel XVII sec., fra le quali sono mescolati autori antichi e moderni, capolavori e scritti di poco valore (sul punto si veda oltre).
Il finale del capitolo compie un notevole "salto" cronologico, poiché l'autore ci informa che da lì sino all'autunno del 1629 i personaggi principali non si muoveranno da dove si trovano (Agnese al paese, Lucia a Milano e Renzo nel Bergamasco) e verranno poi coinvolti in due eventi drammatici sul piano storico, la calata dei lanzichenecchi in Lombardia e l'epidemia di peste. Nel cap. XXVIII Manzoni interromperà la narrazione degli avvenimenti del romanzo per aprire un'ampia digressione storica, dedicata all'incrudelire della carestia e alle vicende della guerra.
TRAMA
GLOSSARIO
A un di presso: all'incirca
Agevole: facile
Arruffato: contorto, confuso
Attraversato: ostacolato
Baruffe: scontri
I tegoli: le tegole del tetto
Imbrogliato: in difficoltà
In cifra: misterioso
In sequestro: in affido temporaneo
Involte nella sua rapina: travolte nel suo vortice
Latore: portatore
Maliardi: maghi
Mariolo: furfante, ladro
Notate tutto: prendete appunti
Passe: appassite
Per via d'induzione: con fatti concreti
Perifrasi: giri di parole
Portamenti: comportamenti
Si perita: si vergogna
Spropositi: errori di valutazione
Studio: preoccupazione
Turcimanno: interprete, traduttore
Ufizi: pressioni diplomatiche
DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:
1) Riassumi la prima parte del capitolo, riguardante la lotta fra Francia e Spagna per il possesso del Monferrato. Ti senti di fare una breve riflessione generale su tale episodio
2) Cosa pensi del fatto che Renzo, non sapendo né leggere né scrivere, deve mettere «un terzo a parte de’ suoi interessi» per tentare di comunicare con Lucia? (leggi attentamente da «Ma Renzo, il quale...» a «il contadino che non sa scrivere» e a «qualche scappellotto»).
3) Cosa pensi di donna Prassede che vuole a tutti i costi far dimenticare Renzo a Lucia: prima di rispondere rileggi, nel capitolo XXVI i passi che riguardano il carattere di questa signora».
4) E del carattere di don Ferrante che «passava grand’ore nel suo studio», e s’intendeva di cose astruse, e, soprattutto di «scienza cavalleresca»? Potresti fare un confronto con Azzecca garbugli?