Capitolo XXVI
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
"Non si creda però che don Gonzalo, un signore di quella sorte, l'avesse proprio davvero col povero filatore di montagna; o che lo credesse un soggetto pericoloso, da perseguitarlo anche fuggitivo, da non lasciarlo vivere anche lontano, come il senato romano con Annibale. Don Gonzalo aveva troppe e troppo gran cose in testa, per darsi tanto pensiero de' fatti di Renzo; e se parve che ne desse, nacque da un concorso singolare di circostanze..."
CHI?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È la madre di Lucia, un'anziana vedova che vive con l'unica figlia in una casa posta in fondo al paese: di lei non c'è una descrizione fisica, ma è presentata come una donna avanti negli anni, molto attaccata a Lucia per quale "si sarebbe... buttata nel fuoco", così come è sinceramente affezionata a Renzo che considera quasi come un secondo figlio. Viene introdotta alla fine del cap. II, quando Renzo informa Lucia del fatto che le nozze sono andate a monte, e in seguito viene descritta come una donna alquanto energica, dalla pronta risposta salace e alquanto incline al pettegolezzo (in questo non molto diversa da Perpetua). Rispetto a Lucia dimostra più spirito d'iniziativa, poiché è lei a consigliare a Renzo di rivolgersi all'Azzecca-garbugli (III), poi propone lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa" (VI) e in seguito invita don Abbondio e Perpetua a rifugiarsi nel castello dell'innominato per sfuggire ai lanzichenecchi (XXIX). È piuttosto economa e alquanto attaccata al denaro, se non proprio avara, come si vede quando rimprovera Lucia di aver dato troppe noci a fra Galdino (III) e nella cura che dimostra nel custodire il denaro avuto in dono dall'innominato. A differenza dei due promessi sposi non si ammala di peste (ci viene detto nel cap. XXXVII) e, dopo il matrimonio, si trasferisce con Renzo e Lucia nel Bergamasco, dove vive con loro ancora vari anni. Del defunto marito e padre di Lucia non viene mai fatta parola e, curiosamente, il fatto che Agnese sia vedova viene menzionato solo nel cap. XXXVII, quando la donna torna al paese e trova la casa quasi intatta dopo il periodo della peste (il narratore osserva che "questa volta, trattandosi d’una povera vedova e d’una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli").
DOVE?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
Città della Lombardia e attuale capoluogo di provincia, all'epoca del romanzo Bergamo si trovava nel territorio della Repubblica di Venezia (cui apparteneva sin dal 1428, in seguito alla vittoriosa battaglia di Maclodio ad opera del Conte di Carmagnola) ed è situata non lontano dal corso dell'Adda, che allora per un tratto faceva da confine naturale con il Ducato di Milano; intensi erano gli scambi commerciali fra i due territori, dal momento che fin dal cap. II ci viene detto che molti filatori di seta emigravano nel Bergamasco attratti dalle migliori condizioni di lavoro, il che spiega come mai Renzo, operaio assai abile in questo settore, riesca a trovare lavoro in patria nonostante l'annata scarsa. In un paese di quella regione vive anche Bortolo, il cugino di Renzo che lavora a sua volta in un filatoio di cui è il factotum e dove ha più volte invitato il protagonista a trasferirsi, anche se il giovane filatore non ha mai accettato per il suo legame con Lucia. Il Bergamasco diventa ambientazione diretta del romanzo a partire dal cap. XVII, quando Renzo (in fuga da Milano dopo il tumulto di S. Martino e ricercato dalla legge) supera l'Adda per rifugiarsi nello stato veneto e verrà accolto da Bortolo che gli troverà un ricovero e un lavoro al suo filatoio; mentre si avvicina al paese del cugino, Renzo non tarda a rendersi conto che la carestia si sta facendo sentire anche in quelle terre, come dimostra la presenza di numerosi accattoni e contadini che chiedono l'elemosina, e come gli conferma lo stesso Bortolo col dirgli che, a causa della scarsezza dell'annata, non c'è grande richiesta di operai. Renzo riuscirà comunque a guadagnarsi da vivere grazie alla sua abilità di filatore e Bortolo gli spiegherà che la politica economica della città di Bergamo e della Repubblica di Venezia è più oculata rispetto a quella di Milano, poiché viene acquistato del grano a basso prezzo che viene fatto circolare liberamente fra le città e il senato veneziano assicura il rifornimento di miglio che, in tempi di carestia, serve a produrre il pane (è questo il modello socio-economico che Manzoni predilige, cosa che emerge soprattutto nel confronto con il governo milanese dell'epoca). Quanto alla manifattura della seta, viene detto chiaramente che essa è stata portata nel Bergamasco dagli operai milanesi emigrati laggiù e in seguito l'autore precisa che il governo veneziano assecondava in ogni modo questo flusso di lavoratori, soprattutto perché i rapporti politici col vicino Ducato erano assai tesi. La stessa vicenda di Renzo lo dimostra, poiché il governo di Venezia finge di compiere superficiali ricerche del fuggiasco su pressioni del governatore di Milano don Gonzalo, mentre risulta chiaro che non c'è alcun intento di trovarlo né tantomeno di consegnarlo alle autorità milanesi (XXVI); Renzo sarà comunque costretto a trasferirsi per qualche mese in un villaggio poco lontano, dove assume il falso nome di Antonio Rivolta e trova lavoro nel filatoio di un conoscente di Bortolo, originario anche lui del Milanese.
Renzo soggiorna nel Bergamasco dal novembre 1628 sino all'estate 1630, quando l'epidemia di peste scoppiata nel Milanese si propaga anche al territorio vicino e lo stesso protagonista finisce per ammalarsi (XXXIII): una volta guarito, decide di approfittare della situazione drammatica per tornare al suo paese e cercare Lucia, del cui voto è stato intanto informato per lettera da Agnese. Alla fine delle vicende del romanzo, dopo che Renzo e Lucia si sono finalmente sposati, i due decidono di trasferirsi insieme ad Agnese nel paese di Bortolo (XXXVIII), ma qui si trattengono poco in quanto gli abitanti accolgono la giovane con commenti poco lusinghieri sul suo aspetto fisico, dal momento che si era fatto un gran parlare di lei (la cosa irrita non poco Renzo e inasprisce i suoi rapporti con i nuovi compaesani). Più tardi Bortolo propone a Renzo di acquistare in società un filatoio alle porte di Bergamo, il cui padrone è morto di peste mentre il figlio intende disfarsene, e la conclusione dell'affare permette ai due sposi di trasferirsi definitivamente in quel paese dove poi trascorrono la loro vita assieme.
La città di Bergamo è spesso citata come il centro principale di quella regione, anche se non è l'ambientazione diretta di nessun episodio del romanzo: essa è mostrata solo nel cap. XVII, come una "gran macchia biancastra" sui colli che Renzo vede al di là dell'Adda, per cui il giovane intuisce che deve trattarsi di quella città e la cosa gli viene poi confermata dal pescatore che lo traghetta sull'altra sponda del fiume.
QUANDO?
RIASSUNTO
TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO
L'inizio del capitolo mostra la conclusione del colloquio tra Don Abbondio e il cardinal Borromeo, al termine del quale il curato appare sinceramente pentito e commosso per i rimproveri subìti, anche se ben presto tornerà lo stesso uomo codardo e tremebondo di sempre (sul dialogo tra i due si veda l'approfondimento del cap. XXV). Don Abbondio avrà comunque modo di riscattarsi moralmente agli occhi dei due promessi, quando alla fine della vicenda otterrà l'interessamento del marchese erede di don Rodrigo per far revocare il mandato di cattura che pende su Renzo e farà in modo che il nobile acquisti i poderi del giovane e di Agnese a un prezzo molto alto (cap. XXXVIII).
Il cardinale rammenta a don Abbondio che avrebbe potuto informarlo delle pressioni subite da don Rodrigo e che, in ogni caso, non sempre i prepotenti mettono in atto le loro minacce: sono le stesse considerazioni che Perpetua aveva fatto al suo padrone nel cap. I (i "pareri di Perpetua") e che il curato aveva bellamente ignorato a causa della sua vigliaccheria.
L'innominato fa avere cento scudi d'oro ad Agnese come risarcimento del male compiuto, una somma enorme per l'epoca che eccita subito la fantasia della donna (Agnese è decisamente economa, se non proprio avara, come si era visto nel cap. III allorché rimproverava Lucia per le troppe noci date a fra Galdino). Il suo atteggiamento una volta in possesso dell'oro è piuttosto comico, poiché la donna conta più volte le monete, è goffa nel tentativo di rimetterle nel rotolo, alla fine le nasconde "sotto il materasso" rivedendole addirittura in sogno.
L'offerta dell'innominato ad Agnese di rivolgersi a lui in caso di necessità verrà in seguito accolta dalla donna, che si recherà insieme a don Abbondio e Perpetua al castello dell'ex-bandito per sfuggire alla calata dei lanzichenecchi (capp. XXIX-XXX).
Lucia rivela finalmente alla madre il voto pronunciato durante la sua prigionia al castello dell'innominato, in base al quale la ragazza non può più sposare Renzo: il voto non è valido, ma la cosa è ignorata dalle due donne e la stessa Agnese si guarda bene dal dissuadere dalla figlia da un impegno che considera sacro (Lucia non vuole che se parli ad anima viva e questo è il motivo per cui non saprà della nullità della promessa fino a quando glielo spiegherà padre Cristoforo, nel cap. XXXVI). Agnese accetta poi di mandare a Renzo metà dell'oro ricevuto in dono, affermando in modo un po' comico di non tenere troppo a quel denaro (l'atteggiamento della donna fino a quel momento è stato ben diverso). È questo l'ultimo incontro fra madre e figlia, che potranno riabbracciarsi solo nel capitolo finale dopo le traversie dovute alla peste.
Apprendiamo che Renzo ha dovuto lasciare il paese del cugino Bortolo e assumere per qualche tempo la falsa identità di Antonio Rivolta, tutto a causa delle ricerche (sia pure molto blande e destinate a restare senza esito) delle autorità della Repubblica sul suo conto: tutto nasce dalle pressioni politiche del governatore don Gonzalo sul rappresentante diplomatico di Venezia a Milano, dovute non certo a una personale persecuzione nei confronti del giovane, ma (come verrà spiegato all'inizio del cap. XXVII) per un complesso gioco politico legato alla guerra di Mantova e del Monferrato in cui Renzo si è trovato casualmente implicato. Assolutamente ironico e sproporzionato il paragone tra il giovane filatore in fuga e Annibale Barca, il grande nemico di Roma perseguitato molto tempo dopo la fine della guerra con Cartagine: l'autore vuole sottolineare la distanza abissale che separa i grandi attori della politica internazionale, come don Gonzalo, dai personaggi umili che tuttavia subiscono le conseguenze dei loro maneggi politici (sul punto si veda oltre).
TRAMA
GLOSSARIO
Abboccamento: colloquio
Bandolo: modo
Discorrerti: frequentarti
Gruppo: pacchettino
Intese per aria: capì al volo
Mallevadore: responsabile
Mi fa celia: mi prende in giro
Ruspi: ruvidi, fresche di conio
State alle velette: state di vedetta
Stordito: sordo, tonto
DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:
1) Con due verbi il cardinale Borromeo sintetizza ciò che don Abbondio (e come lui qualsiasi sacerdote) deve fare nei confronti delle persone a lui affidate: cercali, trascrivili e commentali mettendoli in rapporto col carattere di don Abbondio.
2) Come si comporta Lucia quando Agnese le parla del dono dell’Innominato? Ti sembra che da una sua frase si possa intendere ancora una volta che ella è innamorata di Renzo? trascrivila e commentala.
3) Cerca, nei capitoli precedenti, a che punto e dove hai lasciato Renzo e riassumi brevemente.
4) Perché Bortolo viene avvisato in confidenza affinché Renzo cambiasse aria? Quali interessi economici concorrono a portarlo in salvo nel veneziano?