Capitolo XXIV
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
"L'innominato, alla vista di quell'aspetto sul quale già la sera avanti non aveva potuto tener fermo lo sguardo, di quell'aspetto reso ora più squallido, sbattuto, affannato dal patire prolungato e dal digiuno, era rimasto lì fermo, quasi sull'uscio; nel veder poi quell'atto di terrore, abbassò gli occhi, stette ancora un momento immobile e muto; indi rispondendo a ciò che la poverina non aveva detto,- È vero, - esclamò: - perdonatemi!..."
CHI?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È la madre di Lucia, un'anziana vedova che vive con l'unica figlia in una casa posta in fondo al paese: di lei non c'è una descrizione fisica, ma è presentata come una donna avanti negli anni, molto attaccata a Lucia per quale "si sarebbe... buttata nel fuoco", così come è sinceramente affezionata a Renzo che considera quasi come un secondo figlio. Viene introdotta alla fine del cap. II, quando Renzo informa Lucia del fatto che le nozze sono andate a monte, e in seguito viene descritta come una donna alquanto energica, dalla pronta risposta salace e alquanto incline al pettegolezzo (in questo non molto diversa da Perpetua). Rispetto a Lucia dimostra più spirito d'iniziativa, poiché è lei a consigliare a Renzo di rivolgersi all'Azzecca-garbugli (III), poi propone lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa" (VI) e in seguito invita don Abbondio e Perpetua a rifugiarsi nel castello dell'innominato per sfuggire ai lanzichenecchi (XXIX). È piuttosto economa e alquanto attaccata al denaro, se non proprio avara, come si vede quando rimprovera Lucia di aver dato troppe noci a fra Galdino (III) e nella cura che dimostra nel custodire il denaro avuto in dono dall'innominato. A differenza dei due promessi sposi non si ammala di peste (ci viene detto nel cap. XXXVII) e, dopo il matrimonio, si trasferisce con Renzo e Lucia nel Bergamasco, dove vive con loro ancora vari anni. Del defunto marito e padre di Lucia non viene mai fatta parola e, curiosamente, il fatto che Agnese sia vedova viene menzionato solo nel cap. XXXVII, quando la donna torna al paese e trova la casa quasi intatta dopo il periodo della peste (il narratore osserva che "questa volta, trattandosi d’una povera vedova e d’una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli").
DOVE?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È l'inespugnabile fortezza in cui vive e opera l'innominato, situata in un punto imprecisato lungo il confine tra il Milanese e il Bergamasco e distante non più di sette miglia dal palazzotto di don Rodrigo: il luogo è descritto all'inizio del cap. XX, quando il signorotto vi si reca per chiedere l'aiuto del potente bandito nel rapimento di Lucia e fin dall'inizio si presenta come un castello truce e sinistro, specchio fedele della personalità del signore che vi risiede. Infatti sorge in cima a un'erta collina al centro di una valle "angusta e uggiosa" che è a cavallo del confine dei due stati, accessibile solo attraverso un sentiero tortuoso che si inerpica verso l'alto e che è dominato dagli occupanti del castello, che sono dunque al riparo dall'assalto di qualunque nemico; il castello è come un nido di aquile in cui l'innominato non ha nessuno al di sopra di sé e da dove può dominare anche fisicamente su tutto il territorio circostante, di cui egli è considerato l'assoluto padrone (i pochi birri che si sono avventurati lì sono stati uccisi e nessuno oserebbe addentrarvisi senza essere amico del bandito).
All'inizio del sentiero che conduce in alto c'è un'osteria che funge da corpo di guardia, la quale, a dispetto dell'insegna che mostra un sole splendente, è nota come la Malanotte e in cui stazionano bravi dell'innominato armati fino ai denti: qui si ferma don Rodrigo quando giunge insieme ai suoi sgherri e viene precisato che nessuno può salire al castello armato, per cui il signorotto deve consegnare ai bravi il suo schioppo. In seguito viene accompagnato all'interno della fortezza e percorre una serie di oscuri corridoi, con bravi di guardia ad ogni stanza e varie armi appese alle pareti (moschetti, sciabole, armi da taglio...), mentre la sala in cui avviene l'incontro con l'innominato non presenta dettagli rilevanti, cosa che può dirsi anche per altri "interni" che appariranno nei successivi episodi.
Dopo il rapimento (XX) Lucia è condotta da Monza al castello in carrozza (il viaggio dura più di quattro ore) e una volta che il veicolo è giunto ai piedi del sentiero che sale alla fortezza, di fronte alla Malanotte, esso non può proseguire a causa dell'erta ripida e la giovane è trasferita su di una portantina insieme alla vecchia serva dell'innominato. Questa conduce poi Lucia nella sua stanza (XXI), cui si accede tramite una "scaletta" e dove poco dopo giunge anche l'innominato; la stanza è spoglia e non presenta alcuna descrizione particolare, così come la camera in cui dorme il bandito e che viene mostrata dopo, della quale si dice solo che ha una finestra che si affaccia sul lato destro del castello, verso lo sbocco della valle (da lì l'uomo vede la gente che accorre dal cardinal Borromeo, giunto in visita pastorale al vicino paesetto che non dev'essere troppo lontano da quello dei due promessi, dal momento che fra i curati presenti c'è anche don Abbondio).
Questi percorre in seguito la salita al castello in groppa a una mula, insieme all'innominato e a una lettiga che trasporta la moglie del sarto del paese, con il compito di rincuorare Lucia nel momento in cui verrà liberata (XXIII): una volta giunti alla fortezza i due sono fatti entrare e apprendiamo che vi sono due cortili, uno più esterno e un altro interno. Sulla strada del ritorno il curato osserva con una certa apprensione lo strapiombo del dirupo che è costretto a rasentare e maledice la mula in quanto procede sul ciglio del burrone, tirando infine il fiato solo quando è fuori da quella valle dalla fama sinistra (XXIV).
Lo stesso don Abbondio, Agnese e Perpetua torneranno lì molti mesi dopo, per cercare rifugio nel castello a causa della calata in Lombardia dei lanzichenecchi, durante la guerra di Mantova (XXIX): l'innominato ha già raccolto al castello molti uomini e ha disposto armati e posti di guardia in vari punti della valle, cosicché il luogo è perfettamente difeso. I tre giungono alla Malanotte a bordo di un baroccio procurato dal sarto (XXX) e qui trovano un folto gruppo di armati, quindi procedono a piedi lungo la salita e Agnese rabbrividisce al pensiero che la figlia ha percorso quella stessa strada prigioniera dei bravi. Vengono accolti benevolmente dall'innominato che offre loro ospitalità e le donne vengono sistemate in un quartiere a parte, che occupa tre lati del cortile più interno del castello (nella parte posteriore dell'edificio, a strapiombo su un precipizio); il corpo centrale che unisce il cortile interno a quello esterno è occupato da masserizie e provviste, mentre nel quartiere destinato agli uomini ci sono alcune camere riservate agli ecclesiastici e don Abbondio è il primo a occuparne una. Lui e le due donne si trattengono al castello "ventitré o ventiquattro giorni", quindi, nel momento in cui il pericolo dei lanzichenecchi è cessato, l'innominato li accompagna di persona alla Malanotte dove fa trovare una carrozza, e questa li porta poi al loro paese. È questa l'ultima apparizione dell'innominato nel romanzo e lo stesso può dirsi anche del suo castello.
Il luogo è stato giustamente interpretato come un riflesso "simbolico" dell'indole del suo signore, che vive nella sua solitudine asserragliato su un'alta montagna e rende il proprio maniero inaccessibile a chiunque non voglia fare avvicinare: tale è la condizione dell'innominato sino al ravvedimento, poi è lui stesso a scendere dall'altura per incontrare il cardinale e giungere alla conversione, per cui il castello è in certo qual modo immagine dell'isolamento del peccato che l'uomo spezza andando a parlare con il Borromeo. Data l'identificazione tra il personaggio manzoniano e la figura storica di Francesco Bernardino Visconti, si pensa che il suo castello fosse quello i cui resti sorgono ancora nella cittadina di Vercurago, sulla strada che un tempo collegava Bergamo a Lecco (rimangono in piedi un torrione e parte della cinta muraria).
QUANDO?
RIASSUNTO
Lucia viene così liberata e condotta provvisoriamente in paese, nella casa di un buon sarto, dove subito la raggiunge Agnese e poco dopo il cardinale in persona, a cui Agnese racconta tutte le loro vicende.
Mentre si svolge questa scena familiare e carica di emozione, l'Innominato, al castello, avverte i suoi uomini che potranno restare al suo servizio solo se intenzionati come lui a cambiare vita.
TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO
Il capitolo, tra i più lunghi e narrativamente complessi del romanzo, conclude il racconto della conversione dell'innominato mostrando la liberazione di Lucia dal castello e la sua ricongiunzione con la madre Agnese, che la raggiunge nella casa del sarto dopo che il cardinal Borromeo l'ha mandata a chiamare. L'episodio è uno snodo fondamentale nella vicenda, dal momento che d'ora in avanti Lucia sarà al sicuro dalla persecuzione di don Rodrigo (verrà infatti ospitata a Milano da donna Prassede e don Ferrante, come verrà spiegato nei capp. seguenti), ma non potrà comunque riunirsi a Renzo per la sua "latitanza" nel Bergamasco e la vicenda del voto, di cui la giovane inizialmente si rammarica e che in ogni caso tiene nascosto alla madre (glielo dirà solo nel cap. XXVI).
Il viaggio di ritorno di don Abbondio dal castello dopo la liberazione di Lucia è occupato da un altro monologo interiore del curato, stavolta imperniato sul timore delle conseguenze a lungo termine degli ultimi eventi, specie della possibile reazione di don Rodrigo (nel cap. XXIII, invece, la paura era legata all'innominato e ai pericoli legati al viaggio verso la sua fortezza).
Tra i protagonisti del capitolo spicca la figura del sarto, personaggio minore ma delineato con tratto felice dall'autore e che rappresenta insieme alla moglie una famiglia fondata sull'amore e la solidarietà, nonché su solidi valori umani che nel romanzo contrappongono i popolani e gli abitanti del contado ai nobili e agli abitanti delle città (sul punto si veda oltre). Il sarto è anche una figura bonariamente comica, specie per il modo un po' goffo con cui si vanta di saper leggere e di essere un uomo "dotto", salvo poi non saper mettere insieme due parole di fronte alla presenza imponente del cardinale.
Agnese, colpita dai modi benevoli del cardinale e stizzita per il comportamento di don Abbondio, che le ha intimato di non dir nulla al suo superiore del matrimonio non celebrato, si sfoga rivelando al Borromeo le mancanze del curato (ciò sarà oggetto dei rimproveri del prelato a don Abbondio, nei capp. XXV-XXVI). Anche Lucia confessa il "matrimonio a sorpresa" nonostante le occhiatacce della madre, ma Federigo ha parole di grande comprensione per lei (la sua colpa è ben lieve a paragone dell'infame persecuzione di cui è stata oggetto).
Il finale dell'episodio è dedicato all'innominato che rivela ai suoi bravi la propria conversione e li invita a scegliere se restare o rimanere, andando poi a dormire e riuscendo a prendere sonno a differenza della notte precedente, narrata con efficacia nel cap. XXI. Dopo circa un anno, il sarto dirà a don Abbondio (XXIX) che la maggior parte degli sgherri ha cambiato padrone, mentre l'autore si dilungherà sulla vita onesta e caritatevole di cui l'ex-bandito ha dato prova dopo la sua conversione.
In questo capitolo si dice che i figli del sarto sono "Due bambinette e un fanciullo", mentre nel cap. XXIX (quando l'uomo ospiterà don Abbondio, Perpetua e Agnese diretti al castello dell'innominato) i tre diventeranno due ragazzi e una bambina: si tratta di una svista dell'autore, o, come è stata definita, una "curiosità manzoniana".
TRAMA
GLOSSARIO
A tiro: pronto
Addirittura: senza indugio
Ammontata: ammucchiata
Assettandosi: sistemandosi vestiti e capelli
Avanzi: risparmi
Canchero: pensiero tormentoso
Concorso: grande partecipazione
Cozzo: accozzaglia
Il contorno: i paesi vicini
Istanze: domande
Le quattro cocche: i quattro angoli del tovagliolo
Mallevadore: garante
Messo in forse: messo in discussione
Messo in orgasmo: agitato
Notava: nuotava
Punto d'aspetto: momento di attesa
Risentita: risvegliata
Satollar: saziare
Sbardato: sradicato
Scelta: raffinata
Son fuori di sentimento: sto sognando
Sprigionò: liberò
Tenere per fermo: state certi
Tocco: commosso
Un par suo: uno come lui
Verecondia: rispetto
DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:
1) Cosa dice Lucia all’Innominato che le ha chiesto perdono? Ti sembrano appropriate le sue parole? Te ne ricordano altre altrettanto brevi? Cosa risponde l’Innominato?
2) Quale similitudine indica ancora una volta il carattere imbelle di don Abbondio? Trascrivila.
3) Quali sono le paure di don Abbondio nel viaggio di ritorno dal castello? Elencale.
4) Cosa pensi del «voto» di Lucia, e ti paiono giusti i suoi pensieri ora che si trova al sicuro nella casa del sarto?
5) Una breve frase indica che, pur nella sua timida semplicità, Lucia ama Renzo. Trascrivila, insieme con un altra verso la fine del capitolo.
6) Sai riassumere le parole con cui il sarto rievoca la predica del cardinale Borromeo? Perché la predica ha fatto un tale effetto sul cuore di chi la ascoltava?
7) Cosa vorrebbe don Abbondio da Agnese e come reagisce la donna con don Abbondio prima e poi col cardinale Borromeo?
8) Ti è mai capitato, in circostanze importanti, di dire, come il sarto, «si figuri»?
9) Riassumi brevemente con le tue parole ciò che l’Innominato convertito dice ai suoi bravi e analizza la reazione di costoro.
10) Perché l’Innominato può infine, serenamente, dormire?