Capitolo XIII
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
"La folla, da una parte e dell'altra, stava tutta in punta di piedi per vedere: mille visi, mille barbe in aria: la curiosità e l'attenzione generale creò un momento di generale silenzio. Ferrer, fermatosi quel momento sul predellino, diede un'occhiata in giro, salutò con un inchino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la mano sinistra al petto, gridò: - Pane e giustizia; - e franco, diritto, togato, scese in terra, tra l'acclamazioni che andavano alle stelle..."
CHI?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È il protagonista maschile della vicenda, il promesso sposo di Lucia le cui nozze vengono mandate a monte da don Rodrigo: è descritto come un giovane di circa vent'anni, orfano di entrambi i genitori dall'adolescenza e il cui nome completo è Lorenzo. Esercita la professione di filatore di seta ed è un artigiano assai abile, cosicché il lavoro non gli manca nonostante le difficoltà del mercato (ciò anche grazie alla penuria di operai, emigrati in gran numero nel Veneto); possiede un piccolo podere che sfrutta e lavora egli stesso quando il filatoio è inattivo, per cui si trova in una condizione economica agiata pur non essendo ricco. Compare per la prima volta nel cap. II, quando si reca dal curato la mattina del matrimonio per concertare le nozze: è presentato subito come un giovane onesto e di buona indole, ma piuttosto facile alla collera e impulsivo, con un'aria "di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti"; infatti porta sempre con sé un pugnale e se ne servirà indirettamente per minacciare don Abbondio e costringerlo a rivelare la verità sul conto di don Rodrigo. In seguito progetterà addirittura di assassinare il signorotto, ma abbandonerà subito questi pensieri delittuosi al pensiero di Lucia e dei principi religiosi (anche nel cap. XIII parlerà in difesa del vicario di provvisione, che i rivoltosi vogliono linciare). Il suo carattere irascibile e irruento gli causerà spesso dei guai, specie durante la sommossa a Milano il giorno di S. Martino quando, per ingenuità e leggerezza, verrà scambiato per uno dei capi della rivolta e sfuggirà per miracolo all'arresto; dimostra comunque in più di una circostanza un notevole coraggio, sia durante i disordini citati della sommossa (in cui si adopera per aiutare Ferrer a condurre via il vicario), sia quando torna nel ducato di Milano nonostante la cattura, al tempo della peste (a Milano si introduce nel lazzaretto e in seguito si fingerà un monatto, cosa che gli consentirà di trovare Lucia). È semi-analfabeta, in quanto sa leggere con difficoltà ma è incapace di scrivere, cosa che gli impedirà di diventare factotum alla fabbrica del Bergamasco dove trova lavoro dopo la sua fuga dal Milanese (anche per questo conserva una certa diffidenza per la parola scritta, specie per le gride che non gli hanno minimamente assicurato la giustizia). Rispetto a Lucia si può considerare un personaggio dinamico, in quanto le vicende del romanzo costituiscono per lui un percorso di "formazione" al termine del quale sarà più saggio e maturo (è lui stesso a trarre questa morale nelle pagine conclusive dell'opera). Nel Fermo e Lucia il suo personaggio aveva il nome di Fermo Spolino, mentre il nome Lorenzo era attribuito al sagrestano di don Abbondio, poi chiamato Ambrogio.
DOVE?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È la principale città lombarda del XVII secolo e la sede del governo spagnolo dell'epoca, nonché la capitale dell'omonimo Ducato e uno dei principali centri dell'Italia settentrionale: rappresenta l'unica reale ambientazione urbana di cui l'autore fornisca una descrizione diretta e dettagliata nel corso del romanzo, in cui essa è lo scenario di due importanti episodi narrativi (il primo viaggio di Renzo, in occasione del tumulto per il pane dell'11 novembre 1628, e il secondo viaggio quando la città è sconvolta dalla peste del 1630). Milano è mostrata come una una grande città caotica e tumultuosa, malsana, dominata da una folla disordinata e violenta che si contrappone alla pacifica e quieta popolazione contadina dei piccoli centri (il Bergamasco, il paese dei due promessi...), in accordo con la visione manzoniana che privilegia le ambientazioni rurali e rappresenta quelle cittadine come negative e piene di vizi morali. Non a caso sarà soprattutto Renzo ad essere protagonista di varie "disavventure" nelle strade della metropoli, all'interno di un percorso morale che sarà occasione per lui di crescita umana e di "formazione" (specie in occasione del secondo viaggio, in cui l'attraversamento della città flagellata dalla peste appare quasi come una "discesa agli inferi"), mentre Lucia, pur essendo presente come personaggio in questo spazio narrativo, non vi viene quasi mai mostrata se non all'interno della casa di donna Prassede e don Ferrante, oppure nel lazzaretto che costituisce una sorta di universo separato e in certo modo indipendente dalla realtà cittadina in cui pure è inserito. Fanno parte dell'ambientazione milanese anche il forno delle Grucce e l'osteria della Luna Piena, per cui si rimanda alle rispettive voci.
È quasi inutile sottolineare che Milano riveste grande importanza nell'economia narrativa del romanzo e molte pagine sono dedicate alla sua descrizione, sia per l'effettiva importanza della città fin dai tempi più antichi, sia in quanto luogo in cui l'autore è nato e ha trascorso quasi la sua intera vita, per cui la conoscenza che Manzoni ha di tale ambientazione riflette la sua personale esperienza (la stessa cosa, del resto, può dirsi per tutti gli altri luoghi del romanzo, non a caso posti anch'essi in Lombardia). Lo scrittore ricostruisce l'ambiente della Milano del Seicento basandosi sulle testimonianze degli storici dell'epoca, che egli consulta scrupolosamente e non manca di citare all'occasione.
QUANDO?
RIASSUNTO
La folla inferocita si dirige verso il palazzo del vicario, che, con l’aiuto dai servi, riesce a barricarsi in casa e a nascondersi in uno stanzino. Alcuni rivoltosi tentano di scardinare la porta del vicario per ucciderlo e tutto questo davanti ai soldati spagnoli, che fanno finta di niente. Renzo, al centro del tumulto, è tra coloro che si oppongono a una giustizia sommaria. Per questo, dopo aver reagito con sdegno alle proposte sanguinarie di un vecchio, rischia il linciaggio. Dal fondo della piazza fa la sua apparizione il gran cancelliere Antonio Ferrer, il quale, forte del sostegno popolare, interviene per salvare il vicario. Nella folla si creano due fazioni, l'una favorevole e l'altra ostile all'intervento di Ferrer. Il cancelliere procede in carrozza attraverso la piazza gremita di gente. Alcuni, tra cui Renzo, si adoperano affinché egli possa avanzare, anche
se con continue fermate. Ferrer promette alla folla di arrestare il vicario e di abbassare nuovamente il prezzo del pane, ma il lettore sa bene che le sue promesse non verranno mai mantenute. Ferrer riesce infine ad entrare nel palazzo del vicario e a trarre in salvo quest'ultimo. Fattolo poi salire sulla propria carrozza, si dirige verso il "castello" continuando a calmare con dolci parole la folla. Scampato il pericolo di un linciaggio, Ferrer comincia a temere per le reazioni dei propri superiori, mentre il vicario, ancora molto spaventato, annuncia di volersi ritirare in una grotta.
TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO
Il capitolo è dedicato ancora alla descrizione del tumulto del giorno di S. Martino (come il XII che ne ha spiegato l'origine e le cause) e mostra l'assalto della folla inferocita alla casa del vicario di Provvisione, accusato a torto di essere responsabile della carestia: l'episodio è storico e l'autore si è forse ispirato a quello analogo avvenuto a Milano nel 1814, quando la folla assalì la casa del ministro delle Finanze nel governo vicereale francese, Giuseppe Prina (a differenza del vicario, Prina venne ucciso). Manzoni sottolinea l'insensato modo di agire della folla, che accusa il vicario di colpe non sue e acclama invece il Ferrer che è il vero responsabile della rabbia popolare, e che è pronta a dividersi in opposte fazioni se opportunamente sollecitata da chi è fautore di un partito o di quello opposto (il riferimento, fin troppo ovvio, è ad analoghi episodi verificatisi durante la Rivoluzione francese). L'ironia del romanziere è a tratti impietosa, come quando paragona la lunga scala portata a spalle dai rivoltosi a una "macchina" da assedio con la citazione indiretta addirittura dell'Eneide, per indicare la sproporzione tra l'assalto a una città e l'azione disordinata dei tumultuanti.
Il "vecchio mal vissuto" che vuole inchiodare il vicario alla porta, la cui "canizie vituperosa" è in certo modo opposta alla "decorosa vecchiezza" di Ferrer, suscita la viva riprovazione di Renzo che rifiuta l'idea di commettere un omicidio e che, per questo, rischia di essere a sua volta linciato dalla folla (ciò sottolinea ancora una volta l'indole aliena dalla violenza del giovane, come durante il suo monologo interiore del cap. II, dopo aver appreso delle minacce di don Rodrigo al curato). Renzo, che aiuta Ferrer a passare in carrozza in mezzo alla folla, lo considera un "galantuomo" e pensa quasi di aver acquisito dei meriti nei suoi confronti, tanto che nel cap. XV chiederà al notaio criminale di essere condotto dal gran cancelliere.
Il gran cancelliere Antonio Ferrer fa in questo capitolo la sua unica apparizione diretta nel romanzo, impegnato nel salvataggio del vicario di Provvisione che è nei guai anche per colpa sua: il funzionario di Stato in un certo senso si riscatta e la sua azione non è priva di coraggio, anche se la sua figura è descritta in modo negativo specie nel modo in cui inganna i rivoltosi con la sua doppia parola (si veda oltre). Nel Fermo e Lucia l'episodio era in gran parte simile, con la differenza che il Ferrer non alternava spagnolo e italiano, mentre alla fine l'autore aggiungeva una breve digressione con cui condannava in modo esplicito la condotta dell'uomo politico (cfr. il brano Il salvataggio del vicario).
Il cocchiere Pedro è uno dei "bozzetti" più felici del romanzo e la sua breve comparsa in questo episodio è una sorta di intermezzo comico nel contesto serissimo della rivolta: è quasi la controfigura ridicola del suo padrone, per cui si rivolge rispettoso e pieno di ossequio alla folla quando questa è ancora minacciosa, mentre torna ad assumere toni burberi nel momento in cui la carrozza è al sicuro e protetta dai "micheletti" (analogo atteggiamento è quello assunto dal Ferrer, come si è visto). La frase "Adelante, Pedro, con juicio" ("Avanti, Pedro, con prudenza") pronunciata dal gran cancelliere è rimasta famosa e passata quasi in proverbio.
Renzo ricorda di aver letto la firma di Ferrer in calce alla grida letta dall'Azzecca-garbugli nel cap. III, quindi chiede ingenuamente alla folla se si tratta di colui "che aiuta a far le gride" (in realtà il cancelliere le siglava soltanto come prescriveva la sua alta carica). Anche per questo il giovane contadino si convince che Ferrer sia un "galantuomo" e lo citerà più volte come esempio di giustizia e benefattore del popolo nel suo improvvisato discorso all'inizio del cap. XIV.
TRAMA
GLOSSARIO
Condoluto: dispiaciuto
Fecero alto: si fermarono
Fesso: apertura
Il soccorso di Pisa: aiuto inutile e tardivo
Lavorar più in regola: con metodo
Me n'impipo: non me ne importa nulla
Micheletti: soldati spagnoli
Mostacci: brutti visi
Si sgruppò: si sciolse
Staggi: assi della scala in cui sono inseriti i pioli
Un chilo agro e stentato: una cattiva digestione
Un po' di piazza: un po' di spazio
Zucca monda: testa pelata
DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:
1) Nel capitolo XII una «maledetta voce» incita la folla a dare il sacco alla casa del vicario: ti sembra giusto l’aggettivo?
2) «Spiccava fra questi un vecchio mal vissuto...con le mani alzate sopra una canizie vituperosa...» cosa pensi di questo vecchio così violento?