Capitolo XII

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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"All'intorno era un batter di mani e di piedi, un frastuono di mille grida di trionfo e d'imprecazione. L'uomo del fascio lo buttò su quel mucchio; un altro, con un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco: il fumo cresce e s'addensa; la fiamma si ridesta; con essa le grida sorgon più forti. - Viva l'abbondanza! Moiano gli affamatori! Viva il pane! ..."

CHI?

Antonio Ferrer

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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È il gran cancelliere dello Stato di Milano che esercitò tale carica tra il 1619 e il 1635, sostituendo nel 1628 il governatore don Gonzalo Fernandez de Cordoba impegnato nell'assedio di Casale del Monferrato: è uno dei personaggi storici del romanzo ed è in qualche modo protagonista della rivolta per il pane scatenatasi a Milano il giorno 11 novembre 1628, narrata nei capp. XI, XII e XIII del libro. Essa trae origine dall'insensata decisione presa proprio dal Ferrer di imporre un calmiere (ovvero un tetto massimo) sul prezzo del pane, che non tiene conto delle leggi di mercato e provoca un ribasso forzoso, che ha come conseguenza l'accorrere del popolo ai forni per acquistare il pane a buon mercato (XII). I fornai ovviamente protestano per l'insostenibile perdita economica e chiedono a gran voce la revoca del calmiere, ma il gran cancelliere dichiara che i bottegai si sono molto avvantaggiati in passato e torneranno ad arricchirsi quando la carestia sarà finita, quindi rifiuta di revocare il provvedimento che lo ha reso tanto popolare presso i cittadini milanesi e lascia ad altri l'incombenza di farlo (l'autore osserva con amara ironia che non sa se attribuire ciò alla testardaggine dell'uomo oppure alla sua incompetenza, giacché è impossibile ora entrare nella sua testa per capire cosa pensasse). Il risultato è che il governatore incarica una commissione di decidere in merito alla questione e la revoca del calmiere stabilita da essa scatena la rabbia del popolo e la sommossa.

Ferrer compare poi come personaggio direttamente nel cap. XIII, allorché giunge in carrozza a trarre in salvo Ludovico Melzi d'Eril, il vicario di Provvisione che la folla sta assediando nella sua casa per linciarlo in quanto presunto responsabile della penuria (in realtà, com'è ovvio, il funzionario non ha alcuna colpa). Il gran cancelliere è accolto con acclamazioni di giubilo dalla folla in tumulto, alla quale è gradito per il calmiere imposto sul pane, quindi il funzionario blandisce i rivoltosi con parole lusinghiere promettendo di condurre il vicario in prigione e di volerlo castigare, ma aggiungendo alcune parole in spagnolo ("si es culpable...", se è colpevole) per ingannare la gente che non è in grado di comprendere. Dopo che la carrozza è avanzata lentamente tra la folla assiepata di fronte alla casa del vicario (in mezzo alla quale c'è anche Renzo che si dà un gran daffare per aiutare Ferrer ad arrivare alla porta), il gran cancelliere scende e riesce non senza fatica a infilarsi nella casa, da dove poi trae il vicario che fa salire sulla carrozza e conduce via, continuando a rivolgersi alla folla e a promettere severi castighi verso il funzionario, al quale tuttavia spiega in spagnolo che dice questo solo "por ablandarlos", per rabbonirli. Quando finalmente la carrozza è lontana dal tumulto e i due sono protetti da alcuni soldati, Ferrer mostra il suo vero volto rispondendo in modo cinico al povero vicario, il quale manifesta l'intenzione di lasciare la sua carica e di ritirarsi in una "grotta", mentre il cancelliere dice che egli farà ciò che sarà più conveniente per il servizio al re spagnolo. La figura del Ferrer è delineata in maniera ironica e impietosa dall'autore, che lo rappresenta dapprima come un testardo incompetente che con i suoi provvedimenti insensati è stato causa della rivolta, poi come un attore consumato che riesce ad abbindolare la folla con un discorso ingannevole e un uso astuto del linguaggio, sia pure per ottenere il nobile fine di salvare il vicario dal linciaggio (si veda l'approfondimento del cap. XIII).

Viene citato in precedenza nel cap. III, quando l'Azzecca-garbugli mostra a Renzo la grida del 15 ottobre 1627 che prevede pene severissime a chi minaccia un curato e in calce alla quale il giovane legge la firma del gran cancelliere, "vidit Ferrer" (Renzo se ne ricorderà nel cap. XIII, quando il funzionario arriverà in carrozza e lui chiederà ai rivoltosi se è "quel Ferrer che aiuta a far le gride"). In seguito Renzo lo cita più volte come un galantuomo che aiuta la povera gente nel suo improvvisato discorso di fronte alla folla (XIV), quando attira l'attenzione del poliziotto travestito, mentre nel momento in cui il notaio criminale lo arresta (XV) chiede di essere condotto dal gran cancelliere, affermando che quello gli è debitore (il giovane allude al fatto che ha dato una mano a far stare indietro la folla, quando la carrozza di Ferrer ha raggiunto la casa del vicario di Provvisione). Si parla ancora di lui nel cap. XXVIII, quando l'autore spiega che a Milano, in seguito alla rivolta dell'11 e del 12 novembre 1628, il pane si vende nuovamente a buon prezzo e ciò in forza di provvedimenti di legge tra cui una grida datata 15 novembre a firma del gran cancelliere, in cui si minacciano pene severe a chiunque acquisti pane in misura eccedente il bisogno e ai fornai che non ne vendano al pubblico in quantità sufficiente (Manzoni osserva con la consueta ironia che, se tali gride fossero state eseguite, il ducato di Milano avrebbe avuto più galeotti della Gran Bretagna nel XIX secolo). All'inizio del cap. XXXII, infine, viene detto che il nuovo governatore di Milano, Ambrogio Spinola, risponde in modo evasivo alle insistenti richieste dei decurioni (i magistrati municipali della città) in merito alle strettezze economiche per far fronte alla peste, cosicché il Ferrer gli scrive che la sua risposta era stata letta dai decurioni "con gran desconsuelo" (con vivo dispiacere) e in seguito lo Spinola trasferisce con "lettere patenti" al gran cancelliere tutti i poteri in merito all'epidemia, dal momento che il governatore è impegnato nell'assedio di Casale del Monferrato.

Legato a Ferrer è anche il personaggio del suo cocchiere, lo spagnolo Pedro, al quale il gran cancelliere (XIII) si rivolge con parole in spagnolo che sono quasi passate in proverbio ("Pedro, adelante con juicio", avanti con prudenza, in riferimento alla difficoltà di far avanzare la carrozza in mezzo alla folla).

DOVE?

Milano

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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È la principale città lombarda del XVII secolo e la sede del governo spagnolo dell'epoca, nonché la capitale dell'omonimo Ducato e uno dei principali centri dell'Italia settentrionale: rappresenta l'unica reale ambientazione urbana di cui l'autore fornisca una descrizione diretta e dettagliata nel corso del romanzo, in cui essa è lo scenario di due importanti episodi narrativi (il primo viaggio di Renzo, in occasione del tumulto per il pane dell'11 novembre 1628, e il secondo viaggio quando la città è sconvolta dalla peste del 1630). Milano è mostrata come una una grande città caotica e tumultuosa, malsana, dominata da una folla disordinata e violenta che si contrappone alla pacifica e quieta popolazione contadina dei piccoli centri (il Bergamasco, il paese dei due promessi...), in accordo con la visione manzoniana che privilegia le ambientazioni rurali e rappresenta quelle cittadine come negative e piene di vizi morali. Non a caso sarà soprattutto Renzo ad essere protagonista di varie "disavventure" nelle strade della metropoli, all'interno di un percorso morale che sarà occasione per lui di crescita umana e di "formazione" (specie in occasione del secondo viaggio, in cui l'attraversamento della città flagellata dalla peste appare quasi come una "discesa agli inferi"), mentre Lucia, pur essendo presente come personaggio in questo spazio narrativo, non vi viene quasi mai mostrata se non all'interno della casa di donna Prassede e don Ferrante, oppure nel lazzaretto che costituisce una sorta di universo separato e in certo modo indipendente dalla realtà cittadina in cui pure è inserito. Fanno parte dell'ambientazione milanese anche il forno delle Grucce e l'osteria della Luna Piena, per cui si rimanda alle rispettive voci.

È quasi inutile sottolineare che Milano riveste grande importanza nell'economia narrativa del romanzo e molte pagine sono dedicate alla sua descrizione, sia per l'effettiva importanza della città fin dai tempi più antichi, sia in quanto luogo in cui l'autore è nato e ha trascorso quasi la sua intera vita, per cui la conoscenza che Manzoni ha di tale ambientazione riflette la sua personale esperienza (la stessa cosa, del resto, può dirsi per tutti gli altri luoghi del romanzo, non a caso posti anch'essi in Lombardia). Lo scrittore ricostruisce l'ambiente della Milano del Seicento basandosi sulle testimonianze degli storici dell'epoca, che egli consulta scrupolosamente e non manca di citare all'occasione.

QUANDO?

11 novembre 1628
nella digressione: fra l'estate 1627 e l'autunno 1628

RIASSUNTO

Per colpa della carestia provocata da raccolti scarsi, dagli sprechi per la guerra per la successione al Ducato di Mantova e per le numerose pressioni fiscali, ci sono aumenti elle tasse, soprattutto del pane, che provocano il malcontento e la rabbia popolare. Il gran cancelliere spagnolo ha dato l’ordine di diminuire il prezzo provocando le proteste a questo punto dei fornai costretti a lavorare praticamente gratis. Così il governatore Don Gonzalo decide di aumentare il prezzo del pane scatenando le furie e l’odio del popolo.

Inizia così la rivolta di San Martino e i forni vengono devastati e presi d’assalto. La massa si dirige verso il forno "delle grucce" rubando pane, soldi e distruggendo ogni cosa. Renzo, incuriosito da tutto questo movimento, si dirige verso quella zona ascoltando i pareri dei presenti e assistendo al falò in piazza d’ogni cosa. Arriva poi la notizia di nuovi disordini al Cordusio dove c’è gente armata a difesa. La folla è incerta sul da farsi, è indecisa e delusa; si muove allora, come spinta da una forza estranea, passando sotto la statua di Filippo II, per dare l'assalto alla casa del vicario di provvisione, responsabile della scarsità di cibo. Renzo, ormai è in balia della folla e, senza volerlo, si lascia coinvolgere nei tumulti di Milano.

TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO

Il capitolo si apre con una digressione storica che spiega le ragioni della carestia (lo sperpero e le spese inutili della guerra di Mantova e del Monferrato, di cui si è già parlato nel cap. V) e le cause della sommossa, scatenata dall'imposizione dissennata del calmiere sul prezzo del pane e poi dalla sua revoca, che fa imbestialire il popolo. L'autore critica la politica imprevidente dello Stato di Milano, che pensa più agli affari militari e di politica internazionale che non al benessere della popolazione, e sottolinea che nelle questioni economiche deve prevalere la logica di mercato, giacché imporre per legge un prezzo ribassato al pane ottiene come effetto quello di esaurire più in fretta le scorte e aggravare così la penuria (lo stesso risultato sortisce infine la rivolta).

In tutto l'episodio è evidente la condanna morale da parte di Manzoni della sommossa e dell'atteggiamento del popolo in rivolta, definito più volte col termine spregiativo di "moltitudine" e descritto come un'orda bestiale che agisce in modo violento sotto la spinta degli impulsi primari, come la fame e la rabbia. La stessa rivolta porta a risultati contraddittori, poiché il forno delle Grucce viene completamente distrutto e vi è lo spreco di moltissima farina, il che viene criticato da Renzo col suo buon senso contadino ("se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne' pozzi?") e dall'autore stesso con amara ironia ("questa è una di quelle sottigliezze metafisiche che una moltitudine non ci arriva"). La rivolta viene presentata come un assurdo rito carnevalesco, in cui per un giorno i ruoli sociali si invertono e il popolo comanda con le sue leggi stravolte, il che è evidente soprattutto nel falò che viene acceso sulla piazza del duomo (cfr. l'approfondimento al cap. XI).

Nella digressione viene presentato il personaggio storico di Antonio Ferrer, che comparirà direttamente sulla scena nel cap. XIII quando giungerà in carrozza per trarre in salvo il vicario di Provvisione. Già qui la sua figura è tratteggiata con ironia impietosa, poiché la sua decisione di imporre il calmiere viene derisa come assurda e contraria alle dinamiche del mercato.

Il personaggio del capitano di giustizia, ovvero l'ufficiale che aveva il compito di sovrintendere all'ordine pubblico, è uno dei più ironici e comici del romanzo: giunge in fretta e furia coi suoi alabardieri per disperdere i rivoltosi, ma questi sono in numero troppo grande perché egli possa fare qualcosa; tenta di blandire la folla con parole lusinghiere e promesse di impunità, ma non viene neppure ascoltato; quando una pietra lo colpisce in testa, il tono del suo discorso muta improvvisamente e l'uomo prorompe in un insulto ai popolani ("canaglia"), per poi nascondersi quando i rivoltosi riescono a penetrare nel forno. Il capitano rappresenta l'impotenza delle autorità cittadine di fronte al tumulto, che è conseguenza dell'inefficienza delle leggi e del sistema giudiziario.

L'accenno alla "protuberanza sinistra della profondità metafisica", dove viene colpito da un sasso il capitano di giustizia, è forse un'ironica irrisione delle teorie del frenologo tedesco Franz Joseph Gall (1758-1828), secondo il quale lo spirito umano sarebbe ospitato in varie regioni del cervello e lo spirito metafisico si troverebbe nella bozza frontale sinistra.

Alla fine del capitolo Renzo riflette se non sia meglio tornare al convento e attendere il ritorno del padre Bonaventura, decidendo infine di seguire la folla che si dirige alla casa del vicario: è il momento saliente della sua avventura a Milano, poiché questa sua sciagurata decisione lo porterà ad attirare l'attenzione del poliziotto travestito che causerà poi il suo arresto e la fuga nel Bergamasco (capp. XIV-XVI).

TRAMA

Digressione dell'autore sulle cause della carestia e sul calmiere imposto da Ferrer. Lo scoppio della rivolta. Renzo assiste all'assalto al forno delle Grucce. La folla si sposta alla casa del vicario di Provvisione.

GLOSSARIO

Abbaruffato: sconvolto

Annona: rifornimento dei viveri

Bisbetiche: stravaganti

Burattello: setaccio usato per separare la farina dalla crusca

Cigne: cinghie (della gerla)

Dare il sacco: saccheggiare, rapinare

Decurioni: collegio dei sessanta membri (dieci per ogni porta di Milano)

Eteroclite: strane

Facendo l'indiano: facendo finta di niente

Frullone: arnese per separare la farina dalla crusca

Gramola: arnese per lavorare la pasta

Gravezze: tasse

In un così cattivo punto: in un momento tanto negativo

Intridere: impastare la farina e il lievito con l'acqua

La meta: il prezzo calmierato

Loglio: foraggio per animali

Mentovare: menzionare, citare

Merlotti: ingenui

Messe: raccolto

Notano: nuotano, sguazzano

Picchiate: bussate alla porta

Più positiva: più precisa

Rustica: non terminata

Sagrava: bestemmiava

Salterello: piccolo fuoco d'artificio

Salvatiche: rozze

Satolla: sazia, piena

Se fallo: se sbaglio

Sgangherate: sconnesse, rovinate

Stia: gabbia per pollame

Vecce: legumi

DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:

1) Riassumi brevemente la cause che portarono, in Milano, all’assalto dei forni (fino a «il popolo si imbestialì»).
2) Qual è la causa occasionale per cui scoppia la rivolta dei forni?
3) Il popolo dà la colpa dell’aumento del pane al «vicario di provvidenza»: secondo te è giusto tale atteggiamento? Commentalo.



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