Capitolo VIII
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
"Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti, addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! ..."
CHI?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
È la madre di Lucia, un'anziana vedova che vive con l'unica figlia in una casa posta in fondo al paese: di lei non c'è una descrizione fisica, ma è presentata come una donna avanti negli anni, molto attaccata a Lucia per quale "si sarebbe... buttata nel fuoco", così come è sinceramente affezionata a Renzo che considera quasi come un secondo figlio. Viene introdotta alla fine del cap. II, quando Renzo informa Lucia del fatto che le nozze sono andate a monte, e in seguito viene descritta come una donna alquanto energica, dalla pronta risposta salace e alquanto incline al pettegolezzo (in questo non molto diversa da Perpetua). Rispetto a Lucia dimostra più spirito d'iniziativa, poiché è lei a consigliare a Renzo di rivolgersi all'Azzecca-garbugli (III), poi propone lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa" (VI) e in seguito invita don Abbondio e Perpetua a rifugiarsi nel castello dell'innominato per sfuggire ai lanzichenecchi (XXIX). È piuttosto economa e alquanto attaccata al denaro, se non proprio avara, come si vede quando rimprovera Lucia di aver dato troppe noci a fra Galdino (III) e nella cura che dimostra nel custodire il denaro avuto in dono dall'innominato. A differenza dei due promessi sposi non si ammala di peste (ci viene detto nel cap. XXXVII) e, dopo il matrimonio, si trasferisce con Renzo e Lucia nel Bergamasco, dove vive con loro ancora vari anni. Del defunto marito e padre di Lucia non viene mai fatta parola e, curiosamente, il fatto che Agnese sia vedova viene menzionato solo nel cap. XXXVII, quando la donna torna al paese e trova la casa quasi intatta dopo il periodo della peste (il narratore osserva che "questa volta, trattandosi d’una povera vedova e d’una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli").
DOVE?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
Nel cap. I è descritta la strada che conduce al paese e che don Abbondio percorre tornando a casa dalla passeggiata serale: essa si biforca in prossimità del tabernacolo dove i bravi attendono il curato, e una strada porta in alto, al paese, l'altra scende a un torrente a valle (dunque il paese si trova in cima a una collina, o comunque in posizione elevata). La casa di Renzo si trova al centro del paese, mentre quella di Lucia e Agnese è posta al fondo, quasi appartata dal resto dell'abitato: posta su due piani, è circondata da un muricciolo e il suo isolamento favorirà il tentativo di rapimento di Lucia ad opera dei bravi. Nel cap.IV viene descritta l'osteria, dove Renzo cena in compagnia di Tonio e Gervaso la notte del "matrimonio a sorpresa", gestita da un oste che è fin troppo sollecito a evitare le domande di Renzo e a rispondere a quelle dei bravi che sorvegliano lui e i suoi amici.
QUANDO?
RIASSUNTO
È il capitolo della famosa “notte degli imbrogli”, che comincia col fallimento del tentativo di matrimonio a sorpresa; don Abbondio, con una forza straordinaria e per lui strana, si libera degli intrusi e dà l'allarme. Il campanaro Ambrogio, credendo che la canonica fosse attaccata dai ladri, suona la campana a martello. Mentre il gruppo di Renzo cerca scampo per la campagna, altrettanto sorpresi dall'allarme sono i bravi in azione per rapire Lucia e che hanno trovato vuota la casa della giovane. E così anche un ragazzetto, Menico, che padre Cristoforo, avvertito dal vecchio servitore, ha mandato alla casa delle due donne a scongiurarle di correre da lui. Il ragazzo è bloccato dai bravi, che tuttavia, spaventati dalla campana, lo lasciano libero. Così Menico riesce a incontrare il gruppo di Renzo e ad avvertire i fuggitivi di recarsi al convento di Pescarenico.
Tra i due gruppi in fuga, s'inserisce l'agitazione del paese che, svegliato, non riesce a capire che cosa stia succedendo. Renzo e le due donne giungono al convento dove trovano già organizzata da padre Cristoforo la loro fuga dal paese, per sottrarsi alle minacce di don Rodrigo. Le due donne andranno a Monza, Renzo a Milano, muniti di lettere di presentazione per cappuccini, amici del padre. I fuggiaschi s'imbarcano e in piena notte attraversano il lago.
Qui il famoso “Addio ai monti” che segna la svolta del romanzo e l’inizio di numerose avventure e disavventure dei nostri due protagonisti.
TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO
Il capitolo costituisce il secondo tempo della "notte degli imbrogli" in cui avviene il fallito stratagemma del "matrimonio a sorpresa" e il mancato rapimento di Lucia, che sfugge ai bravi proprio perché è andata dal curato insieme agli altri. Le vicende sono narrate dall'autore con la tecnica del flashback, dal momento che all'inizio viene descritta l'azione a casa di don Abbondio, in seguito si torna indietro al momento in cui il Griso e i bravi penetrano nella casetta delle due donne e sopraggiunge Menico, per poi tornare ancora indietro al momento in cui Agnese e Perpetua sono sorprese dal grido del curato, dalle campane e poi dall'urlo di Menico. La concitazione domina largamente l'episodio, anche in seguito all'accorrere disordinato della folla dei paesani, mentre solo alla fine prevale un ritmo più disteso (quando i tre giungono al convento di padre Cristoforo).
Lo stratagemma attuato dai due promessi sposi, anche se legalmente scorretto e dunque in parte condannato dall'autore, è comunque ciò che consente di sventare il rapimento, poiché le due donne sono assenti all'arrivo dei bravi e in seguito lo scampanio provoca la fuga dei malviventi, salvando probabilmente la vita a Menico (il ragazzo giungerebbe troppo tardi a dare l'allarme ad Agnese e Lucia). Padre Cristoforo non ne saprà mai nulla, mentre Lucia confesserà tutto al cardinal Borromeo, il quale avrà parole di conforto e dirà alla giovane che non deve accusare se stessa dopo tutte le sofferenze patite (cap. XXIV).
Dopo il travestimento del Griso nel cap. VII, in cui si era spacciato per un mendicante ed era entrato in casa di Agnese e Lucia, qui il criminale si finge un pellegrino per ottenere lo stesso scopo, indossando un "sanrocchino" (il mantello indossato dai pellegrini dal nome del loro protettore, S. Rocco) e impugnando un "bordone", il classico bastone usato da chi si metteva in pellegrinaggio (il bastone e le conchiglie di cui è cosparso il mantello sono attribuzioni di San Giacomo, il cui sepolcro a Compostella è da secoli meta di pellegrinaggi). È appena il caso di sottolineare il carattere ironico e vagamente blasfemo di questo travestimento, che tuttavia confonde le idee ai paesani che l'hanno visto nei momenti dell'azione.
Le campane a martello venivano suonate nei villaggi di una volta per richiamare l'attenzione dei paesani in caso di emergenza (un incendio, un assalto di predoni o nemici, un'altra calamità...) e l'uso è attestato largamente in Italia fino alla prima metà del XX secolo. La folla dei compaesani di don Abbondio e dei due promessi è sollecita ad accorrere alla chiesa, ma appare disorganizzata e tumultuosa nel decidere il da farsi e, soprattutto, fin troppo rapida a disperdersi quando si sparge la falsa voce secondo cui Agnese e Lucia si sono messe in salvo (il console, ovvero il magistrato che svolge le funzioni di un sindaco, è un pessimo "capitano" e il giorno seguente viene minacciato dai bravi perché non sollevi scandali sull'accaduto). In ogni caso la rappresentazione degli abitanti del paese è positiva e la loro condotta è improntata alla solidarietà reciproca, il che non si potrà certo dire della popolazione della città di Milano durante la peste.
Il luogo dove Agnese e Lucia dovranno rifugiarsi in seguito alla fuga dal paese è qui indicato con degli asterischi, attribuiti alla consueta finzione della reticenza dell'anonimo, ma l'autore nel cap. IX spiegherà chiaramente che si tratta di Monza, ovvero la città dove sorge il convento in cui è presente Gertrude e in cui troveranno riparo le due donne.
Il passo che conclude il capitolo è il cosiddetto "Addio, monti...", ovvero la celebre pagina in cui Manzoni attribuisce a Lucia in partenza un commosso saluto ai luoghi dove è nata e vissuta, dai quali deve forzatamente separarsi con inevitabile sofferenza: è un grande pezzo di bravura, in cui il tono è altamente lirico e il linguaggio solenne e sostenuto, quale ovviamente non potrebbe usare nella realtà una povera contadina (e infatti l'autore precisa alla fine che "Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia"). Il brano costituisce un'ulteriore descrizione dei luoghi della parte iniziale del romanzo, dopo quella altrettanto famosa che apriva il cap. I.
Il nome del filosofo Carneade con cui si apre il capitolo è diventato per antonomasia sinonimo di illustre sconosciuto, proprio in base alle parole di don Abbondio che non sa nulla di lui.
TRAMA
GLOSSARIO
Addirittura: direttamente
Affatto: completamente
Alterata: commossa
Andito: ingresso
Barattata: scambiata
Bordone: bastone
Cicalio: chiacchiera di poco valore
Disabbelliscono: perdono bellezza
Dovizioso: ricco
Involtino: piccolo fagotto
Panegirico: discorso elogiativo
Papalina: cappello tondo
Pedate: passi
Pile: pilastri, colonne
Polverino: vasetto di sabbia usato per asciugare l'inchiostro
Provvidenza che: meno male che…
Questionare: discutere
Remando: andando a tentoni
Risolvere: decidersi a partire
Sagrare: imprecare
Sanrocchino: mantello corto del pellegrino
Si contenti: essere così gentile da…
Uno zitto: un sibilo, sussurro
Vangile: staffa di metallo usato per spingere la vanga dentro il terreno
Ville: case
DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:
1) Ti pare che il Manzoni ironizzi sulla cultura di don Abbondio? Quali sono le frasi più significative in tal senso? Ricopiale.
2) Come reagisce don Abbondio alle parole «nuziali» di Renzo? Ricopia la similitudine indicante l’aspetto di Lucia dopo tale reazione.
3) Ricopia la riflessione del Manzoni il quale, parlando di Renzo, dice che egli - pur apparendo un «oppressore» - era in realtà l’oppresso e commentala.
4) Qual è il punto più comico del matrimonio a sorpresa?
5) C’è oltre al «pane del perdono» anche un «pane scellerato»; chi lo accetta?
6) Cosa sembrano dire le campane alle orecchie dei bravi di don Rodrigo; a chi è paragonato il Griso in fuga?
7) Qual è nel capitolo la funzione di Menico? Riassumi e rievoca un altro personaggio infantile che già conosci.
8) Anche il «console» viene minacciato dai bravi come don Abbondio: cosa pensi del suo comportamento?
9) E' giusta la frase di padre Cristoforo «Omnia munda mundis»: commentala.
10) Sinceramente: ti piace il passo «Addio mondi sorgenti...» Se sì o no, perchè?