Capitolo I

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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"Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale

si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro..."

CHI?

Don Abbondio

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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È il curato del paesino di Renzo e Lucia, colui che all'inizio della vicenda dovrebbe celebrare il matrimonio dei due promessi: è il primo personaggio del romanzo a entrare in scena, all'inizio del capitolo I, e in seguito all'incontro coi bravi l'autore ci fornisce una dettagliata descrizione della sua psicologia e del suo carattere. Manzoni finge che l'anonimo abbia omesso nel manoscritto di dire il suo casato, ma è comunque presentato come un uomo di circa sessant'anni (I), dai capelli bianchi e con "due folti sopraccigli, due folti baffi, un folto pizzo", che incorniciano una "faccia bruna e rugosa". Non è assolutamente un uomo molto coraggioso e dimostra anzi in numerose occasioni la sua viltà e la sua codardia, che sono all'origine anche della scelta di farsi prete: non dettata da una sincera vocazione, ma dal desiderio di sfuggire i pericoli della vita ed entrare in una classe agiata e dotata di un certo prestigio, che offre una discreta protezione in tempi in cui regna la violenza e la legge non dà alcuna garanzia agli uomini quieti. Il curato svolge dunque il suo ministero tenendosi fuori da ogni contrasto, mantenendo la neutralità in qualunque controversia o litigio, non contrastando mai i potenti (esemplare è la sua sottomissione a don Rodrigo, che pure odia) e mostrandosi in ogni occasione come un debole, cosa di cui approfittano un po' tutti. Costretto a ingoiare molti bocconi amari, non esita a sfogare un po' del fiele che ha in corpo prendendosela con coloro da cui sa di non aver nulla da temere, manifestando anche in tal modo il suo carattere pusillanime. È accudito da un'attempata domestica, Perpetua, donna decisa ed energica che spesso gli rimprovera la sua debolezza e lo esorta a comportarsi con maggior determinazione, quasi sempre senza successo. Si diletta a leggere libri senza un interesse preciso e si fa prestare da un curato suo vicino dei volumi, che però legge senza capire gran che: celeberrima è la frase "Carneade" Chi era costui?" che apre il capitolo VIII e che è passata in proverbio a indicare col nome del filosofo del II sec. a.C. un illustre sconosciuto (ciò indica anche la relativa ignoranza del personaggio).
Don Abbondio è comunque una figura fondamentalmente positiva, sinceramente affezionato a Renzo e Lucia, anche se la sua paura e la sua debolezza lo spingono a comportarsi in modo scorretto e a farsi complice delle prepotenze altrui, al di là delle sue stesse intenzioni. Il suo nome rimanda a sant'Abbondio, patrono di Como, e suggerisce il carattere di un uomo che ama il quieto vivere. È indubbiamente uno dei personaggi comici del romanzo, protagonista di molti episodi che mescolano dramma e farsa (l'incontro con i bravi, il colloquio con Renzo, il "matrimonio a sorpresa", il viaggio in compagnia dell'innominato...).

DOVE?

Paese di Renzo e Lucia

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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Si trova non distante da Lecco ed è indicato dall'autore come "una delle terre" menzionate nella precedente descrizione paesaggistica, che sorgono sulle rive del ramo meridionale del lago di Como: il nome non viene mai citato e ciò è attribuito da Manzoni alla reticenza dell'anonimo autore del manoscritto da cui finge di aver tratto la vicenda, anche se di questo luogo sono state proposte varie identificazioni (nessuna, tuttavia, pienamente convincente). È descritto come una piccola comunità contadina, i cui abitanti sono molto uniti e pronti a darsi una mano l'un l'altro (come si vede nella notte del fallito tentativo di rapire Lucia), anche se di fatto la popolazione si mostra sottomessa alla tirannia di don Rodrigo e incapace di ribellarsi ai suoi soprusi; questo vale anche per il console, ovvero il magistrato minore che governa il paese e che si lascia intimidire dai bravi senza dar corso alle indagini sul tentato rapimento. Viene ovviamente colpito anch'esso dalla peste del 1630 che ne falcidia crudelmente gli abitanti, tuttavia la moria non è descritta direttamente dall'autore ma raccontata da don Abbondio nel suo resoconto a Renzo. I due promessi si allontanano da esso due volte, la prima forzatamente in seguito ai fatti della "notte degli imbrogli" (con la celebre descrizione paesaggistica della parte finale) e la seconda come scelta volontaria, per trasferirsi nel Bergamasco dopo il matrimonio.
Nel cap. I è descritta la strada che conduce al paese e che don Abbondio percorre tornando a casa dalla passeggiata serale: essa si biforca in prossimità del tabernacolo dove i bravi attendono il curato, e una strada porta in alto, al paese, l'altra scende a un torrente a valle (dunque il paese si trova in cima a una collina, o comunque in posizione elevata). La casa di Renzo si trova al centro del paese, mentre quella di Lucia e Agnese è posta al fondo, quasi appartata dal resto dell'abitato: posta su due piani, è circondata da un muricciolo e il suo isolamento favorirà il tentativo di rapimento di Lucia ad opera dei bravi. Nel cap.IV viene descritta l'osteria, dove Renzo cena in compagnia di Tonio e Gervaso la notte del "matrimonio a sorpresa", gestita da un oste che è fin troppo sollecito a evitare le domande di Renzo e a rispondere a quelle dei bravi che sorvegliano lui e i suoi amici.

QUANDO?

Il 7 novembre 1628, sera.

RIASSUNTO

Il capitolo si apre con un’accurata e interessante descrizione del paesaggio lecchese, cornice del nostro racconto.
È il 7 novembre 1628, su una stradina lungo la sponda del lago di Como, cammina una solitaria figura vestita di nero intenta a pregare, don Abbondio.
Mentre procedeva con passo lento e immerso nei suoi pensieri, improvvisamente l’apparizione di due bravi, due brutti tipi al servizio di un signorotto spagnolo molto potente, don Rodrigo, interrompono la sua preghiera e il suo vagare solitario.
Dopo una singolare descrizione dei bravi e di tutto quello che gira intorno al loro mondo, Manzoni comincia a raccontare il colloquio tra i bravi e lo sfortunato prete di paese: questi gli dicono che, in nome del loro potente padrone, il matrimonio fra Renzo e Lucia “non s’ha da fare!”.
Don Abbondio, spaventato, assicura la propria fedeltà al signorotto spagnolo promettendo che non lo celebrerà, nonostante fosse già fissato, inventandosi prontamente una scusa.
Questo atteggiamento debole viene visto e riconsiderato alla luce della giustizia del seicento, dove le minacce erano frequenti e sempre impunite, e viene sottolineata la natura debole e paurosa del curato.
Conclusa questa riflessione dell’autore, si torna alla narrazione con il ritorno a casa di don Abbondio, che racconta il suo incontro alla sua perpetua che, neanche farlo apposta, si chiama proprio Perpetua.

TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO

Il capitolo si apre con un'ampia descrizione paesaggistica, che è tra le pagine più famose del romanzo e delinea un quadro dei luoghi della vicenda che utilizza la tecnica cinematografica dello "zoom" (l'autore parte con uno sguardo dall'alto, che abbraccia il lago di Como nel suo complesso, per poi stringere via via l'inquadratura sino a descrivere le "stradicciole" su una delle quali compare don Abbondio). È stato osservato che Manzoni tratteggia qui il quadro di una natura quasi incontaminata, una dimensione contadina che contrasta con quella caotica e malsana della città: ciò vale soprattutto per Milano, che sarà descritta in termini assai più negativi. Un altro celebre passo simile è quello noto come "Addio, monti...", che chiude il cap. VIII, e in entrambi è evidente la perfetta conoscenza da parte dell'autore dei luoghi, oltre che la carica affettiva che pone nella descrizione di essi.

Nel testo sono presenti due ampie digressioni, la prima dedicata alle gride e all'inefficienza della giustizia nella Lombardia del XVII secolo (che spiega chi erano i bravi e quanto fossero pericolosi), la seconda che amplia lo stesso concetto descrivendo l'impotenza e la corruzione dell'apparato giudiziario. Il quadro che emerge è quello di uno Stato, il Ducato di Milano sotto gli Spagnoli, in cui le leggi sono del tutto inefficaci in quanto troppo numerose, inapplicate e piene di minacce che non sortiscono alcun effetto e, anzi, paradossalmente moltiplicano i delitti e i soprusi. Il segno più evidente di questa inefficienza giudiziaria è proprio la serie infinita di provvedimenti che ampliano via via le pene comminate, di cui Manzoni propone varie citazioni autentiche mettendone in risalto con ironia il linguaggio pomposo e altisonante (lo stesso dell'immaginario "scartafaccio" dell'Introduzione), nonché la sfilza di titoli senza valore dei governatori di Milano che quei provvedimenti emanavano. È anche una critica contro il malgoverno e la corruzione dei funzionari spagnoli di quel periodo, nonché all'inefficacia dei sistemi giudiziari in cui le leggi sono troppo numerose e mancano di concreta applicazione.

Come si evince dal dialogo tra don Abbondio e Perpetua, quest'ultima dà al curato del "lei" in segno di rispetto verso una persona di più alto rango sociale, mentre il sacerdote le dà del "voi": la stessa cosa avverrà anche con Renzo nel cap. II e ciò rispetta l'uso dell'epoca, in gran parte vigente ancora al tempo dell'autore. Anche i due promessi sposi si danno del "voi" e lo stesso fa Lucia nei confronti della madre Agnese.

È rimasta giustamente famosa ed è quasi passata in proverbio la frase pronunciata da uno dei bravi nel minacciare don Abbondio, "questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai".

I "pareri di Perpetua", ovvero il consiglio che la domestica dà al curato di informare con una lettera il cardinal Borromeo, si riveleranno in seguito molto saggi: sarà lo stesso cardinale nel cap. XXVI a rimproverare don Abbondio di non aver fatto ciò, durante il colloquio in cui il prelato rimprovera duramente il curato per non aver adempiuto ai suoi doveri.

TRAMA

Dirigendosi verso casa, Don Abbondio si interroga su cosa dire a Renzo per evitare il matrimonio, sulle sue possibili reazioni e su che cosa avrebbe potuto dire ai Bravi. Poi inveisce contro Don Rodrigo, non senza però aver dato prima la colpa ai “ragazzacci” ce si mettono in capo di sposarsi per non saper che fare, mettendo in difficoltà i galantuomini. Giunto a casa, sconvolto, dopo vari tentennamenti, si confida con la sua serva, Perpetua, una donna popolana decisa, energica e un po’ pettegola. Perpetua gli consiglia di rivolgersi al vescovo di Milano, ma Don Abbondio, terrorizzato all’idea di ribellarsi a un potente, rifiuta il saggio consiglio e, stremato, si ritira nella sua stanza, raccomandando a Perpetua la massima riservatezza sulla faccenda.

GLOSSARIO

A un tratto: nello stesso istante

Adombrato: scuro, cupo, annebbiato

Aggracchiate: rattrappite

Asili: luoghi in cui ci si riparava per sfuggire ad una cattura

Bagatella: cosa di poco conto

Baggianate: sciocchezze, assurdità

Bravi: dal latino pravus (= malvagio, cattivo) sono dei mercenari del XVII secolo pagati dai signorotti locali

Ciarle: chiacchiere

Contestabile: nel medioevo indicava un alto ufficiale di corte

Cura: canonica, la casa del sacerdote

Disparve: sparire, andarsene

Fautori: protettori

Fessi: spaccature del terreno

Giogaia: serie di cime

Guardia: parte dell’impugnatura (elsa) della spada che protegge la mano dal filo della lama

Livrea: divisa dei servitori con i colori della famiglia signorile

Naturale: temperamento, natura

Sospensioni: paure

Sur: toscanismo con “r” eufonica, semplicemente “su”

Tabernacolo: cappella, piccola chiesa

Tormento: tortura

Tuttavia: ancora

Ufizio: le preghiere quotidiane del sacerdote

DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:

1) Quali sono i nuclei narrativi fondamentali del capitolo?
2) Nella prima sequenza compare una breve digressione. Qual è l’argomento? Perché è importante?
3) Quali sono gli elementi fondamentali del paesaggio descritto nella prima sequenza? Quale tecnica descrittiva viene adottata? Perché la descrizione è così oggettiva e accurata? (Risposta unica: rispondi formulando un testo espositivo organico e coerente)
4) L’esordio del romanzo è segnato da una data importante. Quale e quali sono le sue funzioni?
5) In che modo viene presentato don Abbondio? Con quale modalità di presentazione? Su quali aspetti della psicologia del personaggio si sofferma l’attenzione del narratore?6) Quali sono le caratteristiche fondamentali del ritratto dei bravi?
7) Perché il narratore non riferisce subito l’episodio di intimidazione del curato soffermandosi lungamente sulle leggi che erano state emanate contro i bravi? Qual è lo scopo della digressione sulle gride e come si spiega?
8) In cosa consiste la digressione sulla biografia di don Abbondio e sulla società del Seicento e qual è la sua funzione fondamentale?
9) Quali sono le “regole di vita” del sistema di don Abbondio?
10) Quali sono gli aspetti fondamentali del primo capitolo?

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