Capitolo I
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
"Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale
si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro..."
CHI?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
Don Abbondio è comunque una figura fondamentalmente positiva, sinceramente affezionato a Renzo e Lucia, anche se la sua paura e la sua debolezza lo spingono a comportarsi in modo scorretto e a farsi complice delle prepotenze altrui, al di là delle sue stesse intenzioni. Il suo nome rimanda a sant'Abbondio, patrono di Como, e suggerisce il carattere di un uomo che ama il quieto vivere. È indubbiamente uno dei personaggi comici del romanzo, protagonista di molti episodi che mescolano dramma e farsa (l'incontro con i bravi, il colloquio con Renzo, il "matrimonio a sorpresa", il viaggio in compagnia dell'innominato...).
DOVE?
illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840
Nel cap. I è descritta la strada che conduce al paese e che don Abbondio percorre tornando a casa dalla passeggiata serale: essa si biforca in prossimità del tabernacolo dove i bravi attendono il curato, e una strada porta in alto, al paese, l'altra scende a un torrente a valle (dunque il paese si trova in cima a una collina, o comunque in posizione elevata). La casa di Renzo si trova al centro del paese, mentre quella di Lucia e Agnese è posta al fondo, quasi appartata dal resto dell'abitato: posta su due piani, è circondata da un muricciolo e il suo isolamento favorirà il tentativo di rapimento di Lucia ad opera dei bravi. Nel cap.IV viene descritta l'osteria, dove Renzo cena in compagnia di Tonio e Gervaso la notte del "matrimonio a sorpresa", gestita da un oste che è fin troppo sollecito a evitare le domande di Renzo e a rispondere a quelle dei bravi che sorvegliano lui e i suoi amici.
QUANDO?
RIASSUNTO
Il capitolo si apre con un’accurata e interessante descrizione del paesaggio lecchese, cornice del nostro racconto.
È il 7 novembre 1628, su una stradina lungo la sponda del lago di Como, cammina una solitaria figura vestita di nero intenta a pregare, don Abbondio.
Mentre procedeva con passo lento e immerso nei suoi pensieri, improvvisamente l’apparizione di due bravi, due brutti tipi al servizio di un signorotto spagnolo molto potente, don Rodrigo, interrompono la sua preghiera e il suo vagare solitario.
Dopo una singolare descrizione dei bravi e di tutto quello che gira intorno al loro mondo, Manzoni comincia a raccontare il colloquio tra i bravi e lo sfortunato prete di paese: questi gli dicono che, in nome del loro potente padrone, il matrimonio fra Renzo e Lucia “non s’ha da fare!”.
Don Abbondio, spaventato, assicura la propria fedeltà al signorotto spagnolo promettendo che non lo celebrerà, nonostante fosse già fissato, inventandosi prontamente una scusa.
Questo atteggiamento debole viene visto e riconsiderato alla luce della giustizia del seicento, dove le minacce erano frequenti e sempre impunite, e viene sottolineata la natura debole e paurosa del curato.
Conclusa questa riflessione dell’autore, si torna alla narrazione con il ritorno a casa di don Abbondio, che racconta il suo incontro alla sua perpetua che, neanche farlo apposta, si chiama proprio Perpetua.
TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO
Il capitolo si apre con un'ampia descrizione paesaggistica, che è tra le pagine più famose del romanzo e delinea un quadro dei luoghi della vicenda che utilizza la tecnica cinematografica dello "zoom" (l'autore parte con uno sguardo dall'alto, che abbraccia il lago di Como nel suo complesso, per poi stringere via via l'inquadratura sino a descrivere le "stradicciole" su una delle quali compare don Abbondio). È stato osservato che Manzoni tratteggia qui il quadro di una natura quasi incontaminata, una dimensione contadina che contrasta con quella caotica e malsana della città: ciò vale soprattutto per Milano, che sarà descritta in termini assai più negativi. Un altro celebre passo simile è quello noto come "Addio, monti...", che chiude il cap. VIII, e in entrambi è evidente la perfetta conoscenza da parte dell'autore dei luoghi, oltre che la carica affettiva che pone nella descrizione di essi.
Nel testo sono presenti due ampie digressioni, la prima dedicata alle gride e all'inefficienza della giustizia nella Lombardia del XVII secolo (che spiega chi erano i bravi e quanto fossero pericolosi), la seconda che amplia lo stesso concetto descrivendo l'impotenza e la corruzione dell'apparato giudiziario. Il quadro che emerge è quello di uno Stato, il Ducato di Milano sotto gli Spagnoli, in cui le leggi sono del tutto inefficaci in quanto troppo numerose, inapplicate e piene di minacce che non sortiscono alcun effetto e, anzi, paradossalmente moltiplicano i delitti e i soprusi. Il segno più evidente di questa inefficienza giudiziaria è proprio la serie infinita di provvedimenti che ampliano via via le pene comminate, di cui Manzoni propone varie citazioni autentiche mettendone in risalto con ironia il linguaggio pomposo e altisonante (lo stesso dell'immaginario "scartafaccio" dell'Introduzione), nonché la sfilza di titoli senza valore dei governatori di Milano che quei provvedimenti emanavano. È anche una critica contro il malgoverno e la corruzione dei funzionari spagnoli di quel periodo, nonché all'inefficacia dei sistemi giudiziari in cui le leggi sono troppo numerose e mancano di concreta applicazione.
Come si evince dal dialogo tra don Abbondio e Perpetua, quest'ultima dà al curato del "lei" in segno di rispetto verso una persona di più alto rango sociale, mentre il sacerdote le dà del "voi": la stessa cosa avverrà anche con Renzo nel cap. II e ciò rispetta l'uso dell'epoca, in gran parte vigente ancora al tempo dell'autore. Anche i due promessi sposi si danno del "voi" e lo stesso fa Lucia nei confronti della madre Agnese.
È rimasta giustamente famosa ed è quasi passata in proverbio la frase pronunciata da uno dei bravi nel minacciare don Abbondio, "questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai".
I "pareri di Perpetua", ovvero il consiglio che la domestica dà al curato di informare con una lettera il cardinal Borromeo, si riveleranno in seguito molto saggi: sarà lo stesso cardinale nel cap. XXVI a rimproverare don Abbondio di non aver fatto ciò, durante il colloquio in cui il prelato rimprovera duramente il curato per non aver adempiuto ai suoi doveri.
TRAMA
Dirigendosi verso casa, Don Abbondio si interroga su cosa dire a Renzo per evitare il matrimonio, sulle sue possibili reazioni e su che cosa avrebbe potuto dire ai Bravi. Poi inveisce contro Don Rodrigo, non senza però aver dato prima la colpa ai “ragazzacci” ce si mettono in capo di sposarsi per non saper che fare, mettendo in difficoltà i galantuomini. Giunto a casa, sconvolto, dopo vari tentennamenti, si confida con la sua serva, Perpetua, una donna popolana decisa, energica e un po’ pettegola. Perpetua gli consiglia di rivolgersi al vescovo di Milano, ma Don Abbondio, terrorizzato all’idea di ribellarsi a un potente, rifiuta il saggio consiglio e, stremato, si ritira nella sua stanza, raccomandando a Perpetua la massima riservatezza sulla faccenda.
GLOSSARIO
A un tratto: nello stesso istante
Adombrato: scuro, cupo, annebbiato
Aggracchiate: rattrappite
Asili: luoghi in cui ci si riparava per sfuggire ad una cattura
Bagatella: cosa di poco conto
Baggianate: sciocchezze, assurdità
Bravi: dal latino pravus (= malvagio, cattivo) sono dei mercenari del XVII secolo pagati dai signorotti locali
Ciarle: chiacchiere
Contestabile: nel medioevo indicava un alto ufficiale di corte
Cura: canonica, la casa del sacerdote
Disparve: sparire, andarsene
Fautori: protettori
Fessi: spaccature del terreno
Giogaia: serie di cime
Guardia: parte dell’impugnatura (elsa) della spada che protegge la mano dal filo della lama
Livrea: divisa dei servitori con i colori della famiglia signorile
Naturale: temperamento, natura
Sospensioni: paure
Sur: toscanismo con “r” eufonica, semplicemente “su”
Tabernacolo: cappella, piccola chiesa
Tormento: tortura
Tuttavia: ancora
Ufizio: le preghiere quotidiane del sacerdote
DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:
2) Nella prima sequenza compare una breve digressione. Qual è l’argomento? Perché è importante?
3) Quali sono gli elementi fondamentali del paesaggio descritto nella prima sequenza? Quale tecnica descrittiva viene adottata? Perché la descrizione è così oggettiva e accurata? (Risposta unica: rispondi formulando un testo espositivo organico e coerente)
4) L’esordio del romanzo è segnato da una data importante. Quale e quali sono le sue funzioni?
5) In che modo viene presentato don Abbondio? Con quale modalità di presentazione? Su quali aspetti della psicologia del personaggio si sofferma l’attenzione del narratore?6) Quali sono le caratteristiche fondamentali del ritratto dei bravi?
7) Perché il narratore non riferisce subito l’episodio di intimidazione del curato soffermandosi lungamente sulle leggi che erano state emanate contro i bravi? Qual è lo scopo della digressione sulle gride e come si spiega?
8) In cosa consiste la digressione sulla biografia di don Abbondio e sulla società del Seicento e qual è la sua funzione fondamentale?
9) Quali sono le “regole di vita” del sistema di don Abbondio?
10) Quali sono gli aspetti fondamentali del primo capitolo?